Cecchi sceglie la pazzia come unica realtà
Carlo Cecchi affronta Enrico IV di Pirandello da par suo, giocando magnificamente col teatro facendo sfociare la tragedia in farsa; «traduce» in oggi il linguaggio, taglia copiosamente, diminuendo ma non impoverendo, rispettando il saliente (al teatro Franco Parenti di Milano).
Nella dialettica tra finzione e realtà, tra arte e vita, Cecchi evidenzia e mette al centro la finzione teatrale, il potere dell’immaginazione e dell’arte hanno la meglio su quelli della realtà. Enrico da anni veste i panni dell’Imperatore tedesco che andò a Canossa, personaggio assegnatogli in una mascherata a cavallo. Caduto, picchiata la testa, si crede l’imperatore. Rinsavirà ma la follia sarà la sua sola possibile realtà. In Cecchi, Enrico sceglie subito la pazzia, quando poi uccide il responsabile della sua caduta, lo fa ricordandosi di Amleto.
Vendetta, dovere, noia. Tutto è teatro, la finzione è la realtà, è il peso «reale» del dramma. E Cecchi è bravissimo, ironico, sarcastico, è Totò e Ruggeri, irriverente e rispettoso, è magistralmente cialtrone, è l’uomo che si agita e pavoneggia sul palco della vita per il tempo assegnato. Accanto a lui i bravi Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò e una buona compagnia.