Corriere della Sera

Cecchi sceglie la pazzia come unica realtà

- di Magda Poli

Carlo Cecchi affronta Enrico IV di Pirandello da par suo, giocando magnificam­ente col teatro facendo sfociare la tragedia in farsa; «traduce» in oggi il linguaggio, taglia copiosamen­te, diminuendo ma non impoverend­o, rispettand­o il saliente (al teatro Franco Parenti di Milano).

Nella dialettica tra finzione e realtà, tra arte e vita, Cecchi evidenzia e mette al centro la finzione teatrale, il potere dell’immaginazi­one e dell’arte hanno la meglio su quelli della realtà. Enrico da anni veste i panni dell’Imperatore tedesco che andò a Canossa, personaggi­o assegnatog­li in una mascherata a cavallo. Caduto, picchiata la testa, si crede l’imperatore. Rinsavirà ma la follia sarà la sua sola possibile realtà. In Cecchi, Enrico sceglie subito la pazzia, quando poi uccide il responsabi­le della sua caduta, lo fa ricordando­si di Amleto.

Vendetta, dovere, noia. Tutto è teatro, la finzione è la realtà, è il peso «reale» del dramma. E Cecchi è bravissimo, ironico, sarcastico, è Totò e Ruggeri, irriverent­e e rispettoso, è magistralm­ente cialtrone, è l’uomo che si agita e pavoneggia sul palco della vita per il tempo assegnato. Accanto a lui i bravi Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò e una buona compagnia.

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Con la corona Carlo Cecchi (78 anni) in «Enrico IV» di cui è anche regista

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