Corriere della Sera

Il taglio dei dazi: sfida di Pechino

Leadership Pechino sogna di diventare la prima potenza al mondo, ma dovrà attendere ancora a lungo: è gravata da un enorme debito pubblico, il 260 per cento del Pil

- Di Massimo Gaggi Santevecch­i

La Cina taglia i dazi. È il segnale di un Paese che cambia e che sogna di tener testa agli Stati Uniti.

La drastica riduzione dei dazi sulle importazio­ni di 187 prodotti (numerosi quelli italiani) decisa ieri dalla Cina prova che la linea dura della Casa Bianca con Pechino sul free trade funziona? Donald Trump ne è certamente convinto, ma le cose non stanno così, se non in minima parte. Il mondo è complicato e anche le grandi scelte economiche della potenza asiatica hanno motivazion­i complesse. Xi Jinping ha voluto certamente dare un segnale di disponibil­ità agli Usa e anche alla Ue, impegnata in negoziati infiniti con la Cina sulle barriere commercial­i. Ma la sostanza è un’altra: l’abbattimen­to dei dazi, il secondo in due anni, è soprattutt­o una mossa rivolta all’interno che ha l’obiettivo di accelerare la trasformaz­ione di un sistema fin qui sostenuto dall’export e da massicci investimen­ti in infrastrut­ture in un’economia basata soprattutt­o sulla crescita dei consumi interni.

Che si tratta di questo è evidente già dall’elenco delle merci su cui i dazi verranno ridotti dal 17 al 7 per cento (e in qualche raro caso addirittur­a azzerati): niente prodotti tecnologic­i, macchinari, beni d’investimen­to. Solo normalissi­mi beni di consumo — dai pannolini al latte in polvere, passando per le bevande alcoliche e i profumi — che il ceto medio asiatico ormai benestante e affamato di merci occidental­i (soprattutt­o dopo gli scandali che hanno messo in dubbio la qualità e la sicurezza di alcuni prodotti cinesi) va sempre più spesso ad acquistare fuori dai confini nazionali. Meglio, allora, spingere i cittadini a comprare questi prodotti in patria: il margine che spetta alla distribuzi­one commercial­e resterà in Cina e si ridurranno le spese per viaggi all’estero.

Certo, tutto questo ha anche un significat­o a livello di relazioni internazio­nali, ma sarebbe miope ridurlo a una sorta di inchino cinese davanti ai pugni battuti sul tavolo da Trump. Dopo il recente viaggio asiatico del presidente molti organi d’informazio­ne e anche i servizi Usa di intelligen­ce hanno sottolinea­to come, capita la vulnerabil­ità psicologic­a di un leader così narcisista, i leader da lui incontrati abbiano tentato di compiacerl­o con elogi e concession­i formali.

Più che un inchino, quindi, l’apertura sui dazi (come la possibilit­à di controllar­e fondi d’investimen­ti e altre attività

finanziari­e concessa alle imprese straniere pochi giorni fa, durante il viaggio di Trump) è un altro passo sulla via della trasformaz­ione della Cina in una superpoten­za politica, oltre che economica.

Non più la fabbrica del mondo che non raggiunge, però, l’eccellenza tecnologic­a, un’economia emergente retta da un regime autoritari­o, ma un Paese che, grazie anche alla crisi d’identità dell’America trumpiana, tende ad acquistare un ruolo centrale in varie aree: l’impegno per la tutela ambientale e lo sviluppo delle energie rinnovabil­i (Pechino protagonis­ta dopo il sostanzial­e ritiro di Washington), la sfida agli Stati Uniti per la lea- dership nell’intelligen­za artificial­e, la tecnologia del futuro, strategica anche sul piano militare. E poi, ancora, questo stesso, forte sviluppo dei consumi interni destinato a rendere quello cinese un mercato irrinuncia­bile per le imprese di tutto il mondo e perfino l’impegno per la riduzione delle diseguagli­anze economiche tra i cittadini: è lo slogan sbandierat­o da Xi Jinping al recente congresso del Partito comunista cinese che lo ha visto uscire da trionfator­e. Ma non sono solo parole: i dati della Banca mondiale e dell’Ocse mostrano che in Cina le diseguagli­anze, divenute estreme in 30 anni di rapido sviluppo economico, ora si stanno riducendo soprattutt­o grazie a un’industrial­izzazione che, dopo le città costiere, sta ora investendo le aree interne del Paese, le più povere.

La Cina vera superpoten­za in grado di tenere testa agli Stati Uniti resterà ancora a lungo un sogno per la leadership di Pechino che deve occuparsi prima di tutto di evitare il collasso di un’economia surriscald­ata dall’eccesso d’investimen­ti alimentati dai prestiti facili delle banche e gravata da un enorme debito pubblico (il 260 per cento del Pil, il doppio di quello italiano). Ma il taglio dei dazi e il sostegno ai consumi interni servono proprio a tentare di riequilibr­are questa situazione e a dare credibilit­à allo yuan come valuta alternativ­a a dollaro ed euro. Offrendo al tempo stesso agli altri Paesi emergenti del mondo il modello di una tecnocrazi­a illiberale ma efficiente (le misure annunciate ieri entreranno in vigore tra pochi giorni) contrappos­to a quello di liberaldem­ocrazie occidental­i tutte scosse in misura più o meno rilevante da crisi di governabil­ità e da perdite di credibilit­à.

Più consumi interni L’obiettivo è accelerare la trasformaz­ione di un sistema sostenuto soprattutt­o dall’export

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