Il centro in Congo gestito dalle ragazze «Dagli stupri seriali alla speranza»
Isuoi Monologhi della vagina compiranno vent’anni nel 2018. Neanche lei, Eve Ensler, era consapevole delle forze che avrebbe messo in campo, né dei confini del movimento globale One Billion Rising che di Vday in Vday ha portato milioni di persone nel mondo a ballare e battersi per l’eliminazione della violenza contro le donne. In molti Paesi oggi l’orologio dei diritti sembra andare indietro. «La liberazione non è mai una traiettoria dritta, il patriarcato è un virus ostinato e persistente» spiega la drammaturga e attivista newyorkese al Corriere. «Ma stiamo senza dubbio andando avanti». La scelta di trasformare i Monologhi in piattaforma di lotta contro la violenza è venuta naturale, racconta. «Dopo ogni replica incontro donne che si raccontano. All’inizio mi sembrava bellissimo, ho ascoltato storie di desiderio e soddisfazione sessuale ma nel 90% dei casi erano storie di stupri o abusi. Lo spettacolo ha catalizzato memorie che avevano bisogno di essere condivise. Io stessa sono una sopravvissuta ma non avevo idea delle proporzioni del fenomeno. Ho capito che dovevo fare qualcosa». Tra le cose realizzate, quella di cui va più fiera è City of Joy, il centro a Bukavu in Congo — capitale mondiale degli stupri — raccontato dal documentario di Madeleine Gavis, oggi in anteprima italiana a Milano grazie a OBR, 27esima Ora e We World. «È il mio posto preferito sulla Terra. In Congo negli ultimi 14 anni sono morte oltre 8 milioni di persone tra l’indifferenza generale. Contro le donne c’è stata una sistematica opera di distruzione, fisica e non solo». Terrorismo sessuale, viene definito nel doc. «A City of Joy, diretto da Christine Shuler Deschryver e posseduto e gestito autonomamente da donne congolesi, il dolore viene trasformato in forza». Chiudere con la violenza dipende dagli uomini, dice. «Dove sono gli uomini per bene e cosa stanno facendo?».