Mai più capitali culturali inglesi L’Ue espelle anche Shakespeare
«Conseguenza della Brexit». La risposta: «Atto patetico e infantile»
La Gran Bretagna è ancora parte della cultura europea? Evidentemente no, stando alla Commissione di Bruxelles. Che ha stabilito che le città britanniche in futuro non potranno più essere nominate «capitali europee della cultura», come era avvenuto nel 1990 per Glasgow e nel 2008 per Liverpool.
«È una delle numerose conseguenze concrete della Brexit», hanno spiegato i funzionari di Bruxelles. Alla Gran Bretagna sarebbe toccato ospitare la capitale della cultura nel 2023: già lo scorso ottobre avevano sottoposto la propria candidatura città come Leeds, Nottingham e anche Belfast in Irlanda del Nord. Ma per quella data la Gran Bretagna sarà fuori dall’Unione Europea: dunque non se ne parla neppure.
A Londra fanno notare che in passato la capitale della cultura era toccata a Paesi extra Ue come l’Islanda o la Turchia. Ma da Bruxelles obiettano che si trattava di nazioni candidate a entrare nell’Unione o che facevano parte delle aree associate come l’Efta (l’Associazione per il libero commercio) o l’Eea (l’Area economica comune). Mentre il Regno Unito, dopo la Brexit, sarà a tutti gli effetti un Paese terzo.
La decisione è stata bollata dai dirigenti di Leave.EU, il Le candidate britanniche a ospitare la capitale europea della cultura per la Gran Bretagna nel 2023: Leeds, Belfast, Derry, Milton Keynes, Dundee e Nottingham gruppo di pressione proBrexit, come «un atto patetico e infantile da parte di quei tristi vecchioni di Bruxelles». Sulla stessa linea l’eurodeputata per l’Irlanda del Nord Diane Dodds, secondo la quale «a dispetto delle assicurazioni che non avrebbero tentato di punire il Regno Unito, abbiamo qui un esempio della piccineria da scolaretti che ci dobbiamo aspettare da Bruxelles».
Più diplomatico il portavoce del ministero della Cultura britannico, che si è detto «profondamente deluso» e ha ribadito la volontà britannica di «continuare a lavorare con i nostri amici in Europa per promuovere lo sviluppo del nostro continente, che include la partecipazione ai programmi culturali».
In effetti la linea di Londra, ribadita più volte dalla premier Theresa May e in Italia dall’ambasciatrice Jill Morris, è che la Gran Bretagna «lascia la Ue ma non lascia l’Europa». E che le due cose non coincidano è vero soprattutto nell’ambito della cultura: Shakespeare non aveva bisogno del timbro di Bruxelles per ambientare le sue tragedie fra Verona e Venezia. E più in generale è inimmaginabile un canone della cultura europea che non includa l’empirismo inglese o i romanzi di Jane Austen, giusto per limitarsi a qualche esempio eclatante.
I britannici la vedono anche più pragmaticamente e lamentano il danno economico che le loro città subiranno: Glasgow e Liverpool erano rinate grazie all’esperienza di capitali della cultura. Ma, come ha osservato un deputato, «noi non stiamo voltando le spalle all’Europa: invece sembra che loro le voltino a noi».