LE LUCI PUNTATE SUI MAFIOSI DI OSTIA NON DEVONO SPEGNERSI
«Calati juncu ca passa la china»... Non hanno certo assorbito l’astuzia criminale della vecchia Cosa Nostra i piccoli boss che crescono sul litorale romano: piegarsi e mimetizzarsi finché la piena giudiziaria non sia passata non pare faccia al loro caso. Sicché, neppure una settimana dopo le elezioni di Ostia, mentre Roberto Spada resta in un carcere di massima sicurezza e lo Stato proclama che l’esercito pure resterà a pattugliare le strade e le case popolari attorno a piazza Gasparri, loro si rifanno vivi con clamore, gambizzando il gestore di una pizzeria e il suo pizzaiolo sotto gli occhi di tutti, secondo il canovaccio più classico: commando in moto, sicario con casco integrale, moto bruciata due incroci più in là. Il fatto che il pizzaiolo sia imparentato con i Fasciani, clan egemone prima dell’avvento degli Spada, pare spingere ulteriormente le indagini su una pista precisa. «Ostia è un microcosmo che fa capire come non esista una sola mafia ma tante mafie», dice giustamente il procuratore di Roma, Pignatone. Per essere padrini non è necessario l’accento siciliano o calabrese (anche se i giudici di primo grado di Mafia Capitale sembrano pensarla diversamente). I mafiosi di Ostia (che è appunto un quartiere di Roma e non di Palermo) sono decisi a ricordarcelo. Tanta incauta protervia potrebbe essere però anche un vantaggio per lo Stato, purché non ci si distragga più. Tra incendi dolosi, ferimenti e attentati si sono contati a Ostia almeno 50 episodi di matrice mafiosa negli ultimi anni ma, nonostante processi e condanne, c’è voluta la testata di un boss mitomane come Roberto Spada contro un giornalista davanti alle telecamere per accendere infine le luci sul lato oscuro del litorale. Quelle luci devono restare accese: finché l’ultimo «soldato» dei clan non sarà in galera, finché le case popolari non verranno restituite ai legittimi inquilini, finché le vedette dello spaccio non spariranno. Per togliere consenso ai padrini c’è una sola via: mostrare a chi vive nel disagio la faccia migliore dello Stato.