La Confapi: non stravolgete il Jobs act per conti elettorali
Su la testa. La piccola e media industria privata, rappresentata da Confapi, che ieri ha celebrato a Roma i suoi 70 anni di associazione, si scrolla di dosso ogni residuo senso di inferiorità nei confronti della grande impresa e rivendica ascolto nelle sedi che contano. A cominciare da quelle di confronto. «Devo denunciare il tentativo di un monopolio della rappresentanza - ha esordito il presidente Maurizio Casasco -, è già in atto». Il riferimento è al documento Confindustria-sindacati che darebbe «a ogni comparto una sola rappresentanza». Per evitare questo «regime», Casasco si appella ai sindacati, riservando a Confindustria una certa ironia: «Dicevano che votando no al referendum sarebbe crollato il Pil... lo abbiamo visto». Ma ce n’è anche per il governo: «Siamo allibiti per come il Jobs act sia diventato una sorta di “spezzatino” da dare in pasto per eventuali accordi di coalizioni politiche». Una stoccata riservata alla trattativa in corso tra il Pd e i partiti alla sua sinistra. Quanto all’occupazione, fa sapere, non servono mance: ai giovani sotto i 25 anni è sufficiente poter aprire «un’impresa con un euro, in mezzora, on line. E poi aiutarli destinando loro magari mille euro, non come bonus, ma a scopo». Insufficiente viene giudicato il taglio della spesa pubblica: «Abbiamo avuto tre commissari, sono stati licenziati. Nessuno ha avuto il coraggio di abbassarla dell’1% per intervenire sul cuneo fiscale». E sotto accusa finisce anche la grande impresa, rea di non effettuare pagamenti prima di 180 giorni violando la direttiva europea sui tempi di pagamento, come del resto fa lo Stato, chiosa Casasco. Che lancia un allarme sull’insufficienza del credito bancario: «I Pir vanno bene per imprese più grandi di noi, bisogna favorire il finanziamento diretto». Ma è anche «necessaria una banca pubblica sul modello della tedesca Kfw, una sorta di Cassa depositi e prestiti ma decuplicata e gestita con un’ottica privatistica e strettamente manageriale». Sul palco si sono avvicendati dal ministro del lavoro, Poletti (ma è stata sottolineata l’assenza di Renzi) a Salvini, Meloni e Tremonti, mentre Berlusconi ha telefonato in diretta. Segno che la campagna elettorale è già nel pieno. Casasco ne approfitta: «Non vogliamo fare gli eroi a tutti i costi, ma non trovo nessuno di noi negli elenchi annuali dei Cavalieri del Lavoro...».