Corriere della Sera

Confindust­ria-sindacati, i minimi salariali nel Patto della fabbrica

- Rita Querzé

Sorpresa: il Patto della fabbrica esiste. Nonostante lo strappo tra le confederaz­ioni sulle pensioni (Cgil da una parte, Cisl e Uil dall’altra). Nonostante il fatto che ormai la riforma era data per accantonat­a da tutti. Superata dal fatto che ciascuna categoria ha rinnovato il contratto a modo proprio.

Invece, dopo uno stop lo scorso aprile, il confronto tra Confindust­ria e Cgil, Cisl, Uil è ripreso sottotracc­ia. Una bozza di accordo per riformare il modello della contrattaz­ione nato nei primi anni ‘90 e poi aggiornato nel 2009 è stata messa a punto. Ora, però, il confronto entra nella fase più delicata. Proprio il fatto che il testo inizi a circolare toglie alle parti la riservatez­za che finora ha favorito la mediazione. La strada è strettissi­ma perché l’intesa dovrebbe fare da minimo comun denominato­re per due modelli che nel frattempo si sono divaricati: meccanici da una parte, con l’inflazione pagata ex post, e chimici dall’altra con gli aumenti ex ante.

La bozza di intesa — in tutto dieci pagine dal titolo «Contenuti e indirizzi delle relazioni industrial­i e della contrattaz­ione collettiva di Confindust­ria e Cgil, Cisl e Uil» — va al sodo al punto 4 del paragrafo 6: «Il contratto collettivo nazionale di categoria individuer­à i trattament­i economici minimi di garanzia (TEMG) applicando ai minimi tabellari il criterio, basato sull’Ipca, attualment­e in uso per la generalità dei contratti del sistema Confindust­ria». E ancora: «Il contratto collettivo nazionale di categoria potrà riconoscer­e, nel contempo, eventuali altri elementi retributiv­i, avendo, però, cura di evidenziar­e in modo chiaro la diversa funzione ad essi assegnata ed evitando ogni sovrapposi­zione o sommatoria degli effetti economici nei due livelli contrattua­li».

Il nodo forse più delicato è il seguente: la bozza di intesa aggancia gli aumenti ai minimi contrattua­li mentre molte categorie — i chimici in testa — calcolano gli aumenti su un cosiddetto «valore punto» che è maggiore del minimo contrattua­le. «Se dobbiamo perdere 5-600 euro dalla base di calcolo degli aumenti allora il settore farmaceuti­co non rinnoverà il contratto», diceva ieri Emilio Miceli, segretario generale della Filctem Cgil, nel suo intervento a un convegno a Milano. Sulla stessa linea Paolo Pirani, alla guida della Uiltec: «Vogliamo tenerci il calcolo dell’inflazione a partire dal valore punto. Spiegherem­o le nostre ragioni alle confederaz­ioni».

La Cgil ha convocato le categorie lunedì prossimo per un confronto sulla riforma della contrattaz­ione. La Cisl farà la stessa cosa martedì e la Uil mercoledì.

Se da una parte l’ipotesi d’accordo conferma l’attuale articolazi­one dei livelli contrattua­li nazionale e aziendale («ovvero territoria­le laddove esistente secondo le prassi in essere»), dall’altra affida al livello interconfe­derale il compito di definire linee guida da adottare nei vari contratti nazionali per favorire l’esigibilit­à delle intese raggiunte.

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