Confindustria-sindacati, i minimi salariali nel Patto della fabbrica
Sorpresa: il Patto della fabbrica esiste. Nonostante lo strappo tra le confederazioni sulle pensioni (Cgil da una parte, Cisl e Uil dall’altra). Nonostante il fatto che ormai la riforma era data per accantonata da tutti. Superata dal fatto che ciascuna categoria ha rinnovato il contratto a modo proprio.
Invece, dopo uno stop lo scorso aprile, il confronto tra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil è ripreso sottotraccia. Una bozza di accordo per riformare il modello della contrattazione nato nei primi anni ‘90 e poi aggiornato nel 2009 è stata messa a punto. Ora, però, il confronto entra nella fase più delicata. Proprio il fatto che il testo inizi a circolare toglie alle parti la riservatezza che finora ha favorito la mediazione. La strada è strettissima perché l’intesa dovrebbe fare da minimo comun denominatore per due modelli che nel frattempo si sono divaricati: meccanici da una parte, con l’inflazione pagata ex post, e chimici dall’altra con gli aumenti ex ante.
La bozza di intesa — in tutto dieci pagine dal titolo «Contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva di Confindustria e Cgil, Cisl e Uil» — va al sodo al punto 4 del paragrafo 6: «Il contratto collettivo nazionale di categoria individuerà i trattamenti economici minimi di garanzia (TEMG) applicando ai minimi tabellari il criterio, basato sull’Ipca, attualmente in uso per la generalità dei contratti del sistema Confindustria». E ancora: «Il contratto collettivo nazionale di categoria potrà riconoscere, nel contempo, eventuali altri elementi retributivi, avendo, però, cura di evidenziare in modo chiaro la diversa funzione ad essi assegnata ed evitando ogni sovrapposizione o sommatoria degli effetti economici nei due livelli contrattuali».
Il nodo forse più delicato è il seguente: la bozza di intesa aggancia gli aumenti ai minimi contrattuali mentre molte categorie — i chimici in testa — calcolano gli aumenti su un cosiddetto «valore punto» che è maggiore del minimo contrattuale. «Se dobbiamo perdere 5-600 euro dalla base di calcolo degli aumenti allora il settore farmaceutico non rinnoverà il contratto», diceva ieri Emilio Miceli, segretario generale della Filctem Cgil, nel suo intervento a un convegno a Milano. Sulla stessa linea Paolo Pirani, alla guida della Uiltec: «Vogliamo tenerci il calcolo dell’inflazione a partire dal valore punto. Spiegheremo le nostre ragioni alle confederazioni».
La Cgil ha convocato le categorie lunedì prossimo per un confronto sulla riforma della contrattazione. La Cisl farà la stessa cosa martedì e la Uil mercoledì.
Se da una parte l’ipotesi d’accordo conferma l’attuale articolazione dei livelli contrattuali nazionale e aziendale («ovvero territoriale laddove esistente secondo le prassi in essere»), dall’altra affida al livello interconfederale il compito di definire linee guida da adottare nei vari contratti nazionali per favorire l’esigibilità delle intese raggiunte.