Corriere della Sera

La «Dante Alighieri» chiama le imprese

- Di Antonella Baccaro

Possono le imprese italiane che portano il made in Italy in tutto il mondo farsi veicolo di diffusione della nostra lingua? La Società Dante Alighieri, presieduta da Andrea Riccardi, il cui scopo è proprio tutelare e diffondere la nostra cultura a partire dal linguaggio, rompe il tabù tutto italiano che separa la cultura umanistica da quella d’impresa e lancia la sua sfida. A raccoglier­la ieri, oltre ai rappresent­anti dell’imprendito­ria, a partire dal presidente di Confindust­ria, Vincenzo Boccia, anche il governo, rappresent­ato dal premier Paolo Gentiloni, dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, e dal viceminist­ro degli Esteri, Mario Giro. Proprio dal governo è arrivato un appoggio pieno e consistent­e alla missione della «Dante Alighieri»: «Dal piano straordina­rio del made in Italy — ha detto Calenda — siamo pronti a mettere 2 milioni di euro». Per il ministro «solo una cultura come la nostra, diffondend­osi, riuscirà a coniugare l’innovazion­e e l’umanesimo. In caso contrario il rischio sarà quello di generare un rifiuto della modernità».

«C’è una domanda crescente di italiano e italianità. Rispetto a questo — ha spiegato Riccardi — abbiamo constatato i nostri limiti, che stanno nel modo introverso in cui l’Italia ha affrontato la globalizza­zione, credendo che il problema fosse politico-istituzion­ale e dovesse restare dentro i nostri confini». Un riferiment­o al clima di sfiducia, rifiuto del rischio con cui il nostro Paese ha accolto il venir meno di tante barriere nel mondo. Una debolezza che si è aggiunta alla fragilità intrinseca della nostra lingua rispetto a quella di altri Paesi storicamen­te favoriti da vecchie egemonie. La situazione, a parere del presidente della «Dante Alighieri», non è irrecupera­bile: «Dobbiamo passare dall’Italnostal­gia all’Italsimpat­ia, cioè creare una rete di simpatia intorno alla nostra identità». Ha esortato Gentiloni: «Partiamo da noi, abbiamo meno Italsimpat­ia in Italia che altrove nel mondo. Siamo un Paese che non si vuole bene a sufficienz­a. Un vero peccato».

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