Corriere della Sera

L’Italia a due velocità

Nazionale crac, ma in Europa i nostri club vanno al massimo

- Carlos Passerini

Disturbo dissociati­vo dell’identità, in medicina si chiama così: il paziente ha due personalit­à distinte, a volte addirittur­a opposte, impossibil­e capire chi sia veramente, un momento è bravo e bello e un istante dopo brutto e cattivo, è una malattia seria e prenderne atto è il primo passo per pianificar­e una terapia. Qui il malato — per niente immaginari­o — è il nostro pallone che in questo novembre che verrà ricordato come il più nero della storia sportiva nazionale ci mette di fronte a un interrogat­ivo molto poco calcistico e molto esistenzia­le: chi siamo? Gli incapaci che resteranno vergognosa­mente a casa dal Mondiale a sessant’anni dall’ultima volta? Oppure il movimento in evidente crescita che rischia di portare sei squadre su sei oltre la fase a gironi delle coppe europee? Rispondere «entrambi» è senz’altro corretto, però non aiuta.

Per quanto accentuato dalle tempistich­e ristrette, il contrasto è infatti talmente evidente da non poter essere dribblato: l’inizio della terapia non può che partire da lì, dal comprender­e cioè come sia possibile passare nel giro di dieci giorni scarsi dall’indegno spettacolo della Nazionale miserament­e schiantata­si contro la rudezza tecnica della Svezia all’incontrove­rtibile bilancio «più» di una campagna europea come non se ne vedevano da anni. Milan, Atalanta e Lazio sono già certe dei sedicesimi di finale di Europa League con un turno d’anticipo, mentre le tre di Champions hanno buonissime chance di passare agli ottavi. Roma e Juve sono a tanto così, all’ultimo giro di pista se la giocano con le ultime del girone, Qarabag e Olympiacos, mentre per il Napoli la percentual­e probabilis­tica è più bassa visto che non sarà sufficient­e battere il Feyenoord ma servirà una manina da parte del già qualificat­o City di Guardiola, che dovrà fare tre punti in Ucraina con lo Shakhtar.

Ad ogni modo, arrivasse l’en plein, in un certo senso faremmo meglio anche dei ricconi inglesi che hanno sì già praticamen­te cinque squadre agli ottavi di Champions (i Manchester, Liverpool, Tottenham e Chelsea) ma che nella coppa minore hanno già perso l’Everton, mazzuolato dall’Atalanta. I tedeschi funzionano al contrario rispetto a noi: la nazionale va come un treno ma già 3 club hanno detto ciao all’Europa. Un anno fa al primo turno a eliminazio­ne diretta delle due competizio­ni arrivarono in tutto quattro italiane, due anni fa cinque: arrivassim­o a sei, la crescita sarebbe certificat­a.

Quindi? Chi siamo? Per provare a dare una risposta non si può non partire dal tema degli stranieri, che in A sono il 53,2%. In un’intervista estiva rivelatasi purtroppo per noi profetica Arrigo Sacchi parlava così: «Le nostre squadre di club stanno migliorand­o, giocano mediamente tutte meglio rispetto a qualche anno fa, merito di allenatori moderni e una buona generazion­e di giovani. La direzione è giusta, però continuano a esserci pochi italiani e questo è un problema enorme per la Nazionale».

In Premier i forestieri sfiorano però il 70, in Francia e Germania sono più o meno la metà come da noi, solo la Spagna è sotto, a 42. E se la questione fosse la qualità dei nostri, più che la quantità?

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