Merckx tra ciclismo e pallone «Messi e Ronaldo i Cannibali»
«Il Giro in Israele una bellissima avventura, il Tour non mi rispetta»
Si fa i selfie con Fabio Aru e con un centinaio di altre persone. Assieme al corridore sardo e a Italo Zilioli ritira la prima edizione del premio «Castello d’Oro» di Valdengo. Ma a Edouard Louis Joseph Merckx, detto Eddy, l’unico vero Cannibale, manca qualcosa. «Mi manca la bicicletta. Non pedalo da agosto e non mi era mai successo di stare senza bici così a lungo. Mi hanno operato a una cisti, ho provato due-tre volte a salire in sella, ma la ferita si è riaperta. Tra due settimane ci siamo».
I grandi campioni sanno anche soffrire?
«Una volta i miei avversari a cena mi accusarono di far fare tutto il lavoro sporco alla mia squadra. Mi arrabbiai e contrattaccai: io so soffrire più di voi. Era così».
La bici cosa le ha dato come uomo?
«Ho potuto arrivare a un livello sociale più elevato, perché io sono partito dal niente: o riuscivo nel ciclismo o facevo il commerciante. La bici mi ha insegnato la forza della volontà, il fatto di non pensare mai di essere arrivato, di ripartire sempre da zero. Perché ci sono sempre i più giovani che ti vogliono superare: è l’essenza di tutti gli sport».
Quando ha capito di essere Merckx?
«La passione l’ho avuta fin da bambino. Ma quando sono diventato campione del mondo dilettanti avevo paura di non diventare un professionista. Vinta la prima MilanoSanremo nel 1966 ho capito che le doti le avevo».
Lei ha sempre finito le corse anche quando non poteva vincerle. Perché?
Eddy Merckx, belga, 72 anni, vincitore di 5 Tour de France e 5 Giri d’Italia «Prof» tra ‘65 e ‘78, per tutti era il Cannibale Fu campione del mondo su strada 4 volte
«Per rispetto verso i miei avversari: era importante anche per loro che ci fosse Merckx nell’ordine d’arrivo».
Froome dopo Tour e Vuelta di fila può vincere anche il Giro. Nemmeno Merckx c’è riuscito.
«Attenzione: era diverso, perché la Vuelta era in calendario subito dopo le classiche, quindi era quasi impossibile pensare alla tripletta. Adesso per Froome penso sia possibile, ma dipende tutto dalla mentalità e dalla sua motivazione. Non so se le avrà».
Chi ha fatto un’impresa unica nella storia è Sagan, che ha vinto tre Mondiali consecutivi. Che ne pensa?
«Ha avuto anche un po’ di fortuna, ma è un campionissimo».
Le piace lo stile da rockstar dello slovacco?
«All’inizio lo trovavo un po’ eccessivo, adesso è più sobrio e mi piace di più».
Lei è un grande appassionato di calcio. Chi è il Merckx del pallone?
«Oggi Messi e Ronaldo. Ma anche il belga Hazard mi piace tantissimo».
Più facile che il Belgio vinca il Mondiale di calcio o il prossimo di ciclismo?
«Speriamo che nel calcio sia la volta buona, ma è dura. A Innsbruck 2018 sarà ancora più difficile: è un Mondiale da scalatori, come Aru e Nibali».
Il 2017 che anno è stato per il ciclismo?
«Ottimo. Abbiamo visto belle vittorie nelle classiche, Dumoulin ha conquistato il Giro e può puntare al Tour. Froome ha fatto la doppietta. Aru e Froome Aru un lottatore, non aspetta l’ultimo km per attaccare. Froome può vincere Giro, Tour e Vuelta (Bettini) Sagan ha dato spettacolo al Mondiale. Come Nibali al Lombardia».
Chi troverà la consacrazione nel 2018?
«Alaphilippe, Gaviria, Aru: Fabio è uno che non aspetta l’ultimo chilometro per attaccare. Un lottatore».
La salita più bella per lei?
«Le Tre Cime di Lavaredo a Giro 1968, sotto la neve».
La corsa della sua vita?
«La Grande Boucle 1969: un belga non vinceva da 30 anni. Purtroppo il Tour è la corsa più importante. Il motivo? Si corre a luglio, quando la gente è in vacanza».
Il suo rapporto col Tour oggi com’è?
«Zero. È lunga da spiegare. Non hanno avuto rispetto...».
Il Giro in Israele cosa rappresenta per il ciclismo?
«Una bellissima avventura, soprattutto per la logistica. Ma il ciclismo è sempre stato questo: avventura».