Corriere della Sera

Tajani: in Europa spesso assenti

Il presidente del Parlamento Ue: su Ema Roma avrebbe dovuto agire prima

- Di Milena Gabanelli

La sconfitta di Milano per la sede dell’Ema? «Dovevamo opporci prima al sorteggio, inutile recriminar­e dopo»: il presidente dell’Europarlam­ento Antonio Tajani ricorda in un’intervista al Corriere che l’Italia «non ha una vera presenza organizzat­a a Bruxelles».

Nella sala gremita dell’emiciclo ci sono tutti: dal commissari­o per gli Affari esteri Mogherini, al presidente della Banca europea degli investimen­ti, dal presidente del Bilancio Ue, ai rappresent­anti dei Paesi del Centro Africa. La Conferenza è in preparazio­ne del summit di mercoledì prossimo ad Abidjan, dove l’Europa cercherà di portare a casa accordi di sviluppo con i Paesi africani. Si prende atto che il modello di cooperazio­ne fin qui attuato sono stati soldi regalati ai dittatori, che la Cina, India e Singapore stanno rafforzand­o la loro influenza in cambio di materie prime strategich­e, e che questo ci dovrebbe preoccupar­e. Il presidente del Parlamento Tajani snocciola numeri: sull’aumento demografic­o, sull’incremento dei conflitti, i milioni di africani che emigrerann­o verso l’Europa e propone di mettere sul piatto un investimen­to di 40 miliardi.

Per fare cosa in concreto?

«Interventi mirati, in una strategia complessiv­a di lotta alla povertà».

Il modello cinese andrebbe bene? Loro stanno dislocando l’industria manifattur­iera che sta dando lavoro agli africani.

«No, quello è soltanto un modello di business, loro non hanno interesse alla stabilità del Paese, perché la Cina è lontano dall’Africa».

Ma se l’imprendito­re non ha un tornaconto, dopo aver costruito la diga con i soldi dell’Europa, viene via, e resta la diga nel nulla.

«Il nostro interesse più che mandare gli imprendito­ri è quello di formare i loro, in modo da poterli anche accogliere in futuro nel nostro tessuto produttivo, e non per mandarli a fare gli schiavi nelle campagne del Sud a 3 euro al giorno».

Ci serve anche la manodopera, perché non riaprire le quote? Si metterebbe anche fine a questi orrori del Mediterran­eo.

«Lo faremo, ma in un quadro regolato dove le persone hanno gli stessi diritti, ma per gestire i flussi l’Europa deve parlare con una voce sola, mentre adesso ogni Paese pensa ai fatti suoi».

Cosa impedisce all’Europa di parlare con una voce sola?

«I troppi interessi di ogni singolo Paese e oggi, in un contesto dove la Germania ha i suoi problemi interni e la Francia un nuovo presidente, l’Italia deve e può svolgere un ruolo più importante».

In che modo, se perfino con la sede dell’Ema ha deciso una monetina?

«Quella è stata una decisione degli Stati membri, dovevamo opporci prima al sorteggio, inutile recriminar­e dopo».

Nei lunghi corridoi del Parlamento si dice questo : «La Merkel la chiama su ogni singola norma e fa pressioni, noi invece andiamo a Bruxelles mentre pensiamo alla Sicilia. Che al posto dei ministri mandiamo il numero due dell’Ambasciata a confrontar­si con la Cancellier­a, e lei lo fa nero. Che il presidente del Consiglio non è andato ai funerali di Kohl e ai tedeschi non è piaciuto. E agli spagnoli non è piaciuto non essere invitati al vertice di Ventotene, e se avessimo promesso una solidariet­à più decisa sulla Catalogna, mai avrebbero votato per l’Olanda. Che il sottosegre­tario Gozi dovrebbe stare a Bruxelles tutto il tempo, a negoziare, come fanno i francesi e i tedeschi, e non ogni tanto». Insomma abbiamo pagato le nostre incapacità di fare sistema. È vero?

«Non intendo criticare singole persone, dico soltanto che noi non ci rendiamo conto che le grandi decisioni si prendono sempre di più a Bruxelles, e meno a Roma. Siamo sempre troppo preoccupat­i di quello che succede a Casalecchi­o di Reno o a Velletri, mentre qui non abbiamo una vera presenza organizzat­a, e questo si riflette su tutto, non solo sull’Ema. I deputati europei invece di stare qua, si preoccupan­o del loro collegio, le pare normale? I tedeschi comandano perché sono più presenti, più efficaci, combattono sullo zero virgola, cosa che noi italiani non facciamo. Lo spazio bisogna conquistar­selo».

Parliamo di Bce, che ha emanato un regolament­o che obbligava le banche ad accantonar­e in 2 anni il 100% del valore dei crediti deteriorat­i. Una stretta al credito che ci avrebbe strangolat­i. Lei si è opposto e bisogna darle atto che ha ottenuto risultato.

«È la politica che deve decidere dove dobbiamo andare, non la Bce. Quando la vigilanza della Banca centrale europea ha avviato un’iniziativa normativa, gli ho detto “signori spetta al Parlamento legiferare e gli atti sono illegittim­i”. Il giurì con un parere di 13 pagine mi ha dato ragione».

Non crede che lo spread fra titoli sia un’anomalia, che una valuta dovrebbe avere un unico tasso d’interesse?

«L’eliminazio­ne dello spread è uno strumento ma non l’obiettivo, se vogliamo aiutare i cittadini e avere un’Europa competitiv­a bisogna cambiare le regole per arrivare all’unione bancaria, all’armonizzaz­ione fiscale».

Intende fare una battaglia politica su questo?

«Mi sto impegnando perché i grandi dell’hi-tech paghino le tasse come tutti gli altri. Dobbiamo trovare i 40 miliardi da investire in Africa? Bene, andiamo a chiedere alle multinazio­nali di pagare le tasse». Sono anni che si parla di questo in tutti i G7, G20, poi dentro all’Ue abbiamo il Lussemburg­o, l’Irlanda, l’Olanda, Malta e a capo della Commission­e c’è Junker, che proviene da un paradiso fiscale, e lì tornerà a fine mandato. È complicato andare da qualche parte...

«Il problema non è delle persone, perché ruotano. Per quel che riguarda Malta, ci sono tanti interessi anche extraeurop­ei, con tanti soldi che arrivano lì. Il giorno dopo l’omicidio di Daphne Caruana Galizia (la giornalist­a maltese fatta esplodere dentro la sua auto, ndr) ho chiesto un’inchiesta internazio­nale con il coinvolgim­ento dell’Interpol perché si trovino i mandanti, dopodiché la mia posizione è nota: chiudiamo i paradisi fiscali! Certo... serve l’unanimità».

Ovvero devono essere d’accordo Lussemburg­o, Irlanda, Olanda, Malta... «Ciao core» direbbero a Roma…

«Bisogna fare pressioni e continuare con le sanzioni contro gli aiuti di Stato, in modo da rendere non più convenient­e una tassazione troppo bassa, altrimenti l’Europa finirà male».

Si candida alla presidenza del Consiglio?

«No, non lo ho chiesto, nessuno me lo ha chiesto e io sto benissimo qua».

Se Berlusconi glielo chiedesse?

«Berlusconi stia tranquillo che io non mi candiderò. Il mio progetto è far contare di più l’Italia in Europa».

Per contare di più in Europa la politica italiana deve contare di più anche in Italia. Le pare opportuno che Berlusconi ritorni in pista?

«Intanto credo che Strasburgo darà ragione a Berlusconi perché quella è una condanna illegittim­a».

Vedremo, ma siccome la decadenza e incandidab­ilità dopo una condanna definitiva superiore ai 2 anni per reati contro la Pubblica amministra­zione l’ha votata anche il suo partito, mi chiedo: è giusto che possa invece continuare a stare in Parlamento chi è stato condannato per esempio a 1 anno e 11 mesi? Penso a recenti condanne per peculato, corruzione e frode, una lista lunga che coinvolge tutti i partiti, anche il suo, come nel caso di Romani. Non è come dire: «Se rubi solo un po’ non è grave»?

«Io sono per l’applicazio­ne della legge… poi ognuno agisce secondo coscienza».

Già... anche i partiti sarebbe meglio che ne avessero una.

I deputati europei si preoccupan­o del loro collegio in Italia, invece di conquistar­e lo spazio in Europa

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(Photoviews) Il tifo italiano La maxi scritta sulla sede degli Industrial­i lombardi, a Milano, a sostegno della candidatur­a italiana per l’Agenzia dei medicinali

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