L’Italia ci prova triplicando i fondi Fedeli: ma stiamo solo tamponando
Il ministro: «Servono tutele sulla casa e sui soldi anche dopo la violenza»
Macron fa un discorso alla Francia, dice che investirà tutte le forze dell’Eliseo contro la violenza sulle donne, annuncia novità finanziarie e legislative. A Palazzo Chigi scelgono un profilo meno altisonante, e in qualche modo lo rivendicano. Valeria Fedeli, ministro dell’Istruzione, sorride se le chiedi di Parigi: «Ogni grande annuncio corre il rischio di restare tale».
Eppure, nonostante i fondi triplicati, rivendicati dal sottosegretario Maria Elena Boschi, nonostante la moltiplicazione dei centri anti-violenza sul territorio, nonostante le linee guida del Piano nazionale varate proprio il mese scorso dal Miur, la sensazione è che manchi qualcosa allo sforzo che il nostro Paese sta facendo.
Passare da 9 milioni l’anno a 33 non è poco, ma è la stessa Fedeli a dire che non si tratta solo di risorse. C’è un tassello dello sforzo che manca, a giudizio del ministro dell’Istruzione: «Occorrono maggiori garanzie per le donne che denunciano, sia dal punto di vista immobiliare, sia sul piano del reddito, del lavoro, viceversa si rischia di gestire solo l’emergenza, di tamponare i casi che escono dall’ombra».
Almeno due cose mancano a una presa in carico più omogenea del fenomeno: le donne che denunciano «rischiano di perdere la casa, occorrerebbe una legge che le tuteli, anche con l’edilizia popolare», prosegue la Fedeli. Ma chi denuncia rischia anche di restare senza risorse finanziarie, spesso appannaggio del marito o del compagno: «E qui occorrerebbero accordi con il mondo del lavoro, con Confindustria, con la Confartigianato, per accompagnare il percorso che fa seguito a una denuncia».
Insomma punire i colpevoli di violenza sulle donne, avere pene severe, una legislazione adeguata, spesso non basta. Offrire garanzie a un soggetto debole significa dare tutele anche dopo la violenza. E fra queste c’è almeno un terzo «buco» nel sistema italiano. Il Miur sta cercando di sensibilizzare al tema sia i genitori, che gli alunni, che gli insegnanti, anche con percorsi formativi fondamentali e necessari.
Ma la formazione, e questa è una consapevolezza che deriva dalle prassi migliori degli altri Paesi, serve anche ad altri livelli: «I carabinieri o la polizia che sono spesso il primo contatto, hanno la formazione adatta per gestirlo? E così anche i medici. Per troppi anni abbiamo ignorato il fenomeno e guardato da un’altra parte, ma se vogliamo prenderlo di petto occorre che la formazione sia obbligatoria per diverse categorie professionali».
A sua volta Maria Elena Boschi, che ha la delega proprio sulla discriminazione di genere, segnala un altro tassello del sistema da migliorare. Lo Stato sta facendo la sua parte, non sempre anche le Regioni, che «devono a loro volta partecipare perché si tratta di un’azione condivisa. Il nuovo Piano nazionale antiviolenza è triennale quindi permette di programmare. Ci tengo a sottolineare che i centri antiviolenza e le case rifugio sono passati da 310 del 2013 a 554 di oggi, un lavoro capillare».
Ieri via libera al Senato al fondo per gli orfani di femminicidio, con una dotazione di due milioni e mezzo l’anno per il triennio 2018-2020.