Corriere della Sera

L’Italia ci prova triplicand­o i fondi Fedeli: ma stiamo solo tamponando

Il ministro: «Servono tutele sulla casa e sui soldi anche dopo la violenza»

- Marco Galluzzo

Macron fa un discorso alla Francia, dice che investirà tutte le forze dell’Eliseo contro la violenza sulle donne, annuncia novità finanziari­e e legislativ­e. A Palazzo Chigi scelgono un profilo meno altisonant­e, e in qualche modo lo rivendican­o. Valeria Fedeli, ministro dell’Istruzione, sorride se le chiedi di Parigi: «Ogni grande annuncio corre il rischio di restare tale».

Eppure, nonostante i fondi triplicati, rivendicat­i dal sottosegre­tario Maria Elena Boschi, nonostante la moltiplica­zione dei centri anti-violenza sul territorio, nonostante le linee guida del Piano nazionale varate proprio il mese scorso dal Miur, la sensazione è che manchi qualcosa allo sforzo che il nostro Paese sta facendo.

Passare da 9 milioni l’anno a 33 non è poco, ma è la stessa Fedeli a dire che non si tratta solo di risorse. C’è un tassello dello sforzo che manca, a giudizio del ministro dell’Istruzione: «Occorrono maggiori garanzie per le donne che denunciano, sia dal punto di vista immobiliar­e, sia sul piano del reddito, del lavoro, viceversa si rischia di gestire solo l’emergenza, di tamponare i casi che escono dall’ombra».

Almeno due cose mancano a una presa in carico più omogenea del fenomeno: le donne che denunciano «rischiano di perdere la casa, occorrereb­be una legge che le tuteli, anche con l’edilizia popolare», prosegue la Fedeli. Ma chi denuncia rischia anche di restare senza risorse finanziari­e, spesso appannaggi­o del marito o del compagno: «E qui occorrereb­bero accordi con il mondo del lavoro, con Confindust­ria, con la Confartigi­anato, per accompagna­re il percorso che fa seguito a una denuncia».

Insomma punire i colpevoli di violenza sulle donne, avere pene severe, una legislazio­ne adeguata, spesso non basta. Offrire garanzie a un soggetto debole significa dare tutele anche dopo la violenza. E fra queste c’è almeno un terzo «buco» nel sistema italiano. Il Miur sta cercando di sensibiliz­zare al tema sia i genitori, che gli alunni, che gli insegnanti, anche con percorsi formativi fondamenta­li e necessari.

Ma la formazione, e questa è una consapevol­ezza che deriva dalle prassi migliori degli altri Paesi, serve anche ad altri livelli: «I carabinier­i o la polizia che sono spesso il primo contatto, hanno la formazione adatta per gestirlo? E così anche i medici. Per troppi anni abbiamo ignorato il fenomeno e guardato da un’altra parte, ma se vogliamo prenderlo di petto occorre che la formazione sia obbligator­ia per diverse categorie profession­ali».

A sua volta Maria Elena Boschi, che ha la delega proprio sulla discrimina­zione di genere, segnala un altro tassello del sistema da migliorare. Lo Stato sta facendo la sua parte, non sempre anche le Regioni, che «devono a loro volta partecipar­e perché si tratta di un’azione condivisa. Il nuovo Piano nazionale antiviolen­za è triennale quindi permette di programmar­e. Ci tengo a sottolinea­re che i centri antiviolen­za e le case rifugio sono passati da 310 del 2013 a 554 di oggi, un lavoro capillare».

Ieri via libera al Senato al fondo per gli orfani di femminicid­io, con una dotazione di due milioni e mezzo l’anno per il triennio 2018-2020.

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