Renzi ha fretta sulle alleanze: bisogna chiudere in 7 giorni
Alla Leopolda il sostegno di Franceschini e Minniti
«Mdp ha detto di no all’alleanza e noi non rilanciamo»: alla Leopolda Matteo Richetti, portavoce della segreteria del Pd, è netto. Il Partito democratico punta alla coalizione, perché, come dice Luca Lotti, «sulle idee possiamo ritrovarci tutti», però Renzi vuole chiudere le trattative entro la settimana e non andare oltre.
Il segretario ha assecondato ben volentieri Gentiloni e Franceschini che lo hanno spinto a impegnarsi in questo tentativo di mettere in piedi una coalizione di centrosinistra. Il premier è fermamente convinto che questa sia l’unica strada: «Dal momento che abbiamo deciso di andare alle elezioni con il Rosatellum dobbiamo per forza cercare di non restare isolati e di intessere alleanze». E il ministro dei Beni culturali, ancor prima di questa legge elettorale, ha sempre suggerito a Renzi di lavorare alla coalizione. Il segretario del Pd ha intrapreso questa strada, e per farlo ha accettato di passar sopra anche ai «risentimenti personali», che pure ha ammesso di avere, soprattutto nei confronti degli scissionisti. E continuerà lungo questa via, ma è anche convinto che tirarla troppo per le lunghe non giovi né al Pd né al centrosinistra. «I nostri elettori — spiega un renziano di rango durante una pausa dei lavori della Leopolda — mal sopportano il fatto che noi ci umiliamo, che andiamo a pietire accordi a forze politiche che nella realtà non ci portano molti voti. Quindi dobbiamo stare attenti a non perdere i nostri».
Ed è con questo obiettivo in mente che Renzi e gli altri dirigenti del Pd hanno deciso di non trascinare la mediazione in corso troppo per le lunghe. Del resto, non è un caso se il segretario continua a ripetere che «bisogna occuparsi delle cose concrete e non dei tatticismi politici». Il che non significa che Renzi non punti all’alleanza con Pisapia, alla quale, ancora ieri ha lavorato Piero Fassino, con i centristi (Lorenzo Guerini è impegnatissimo) o con i radicali. Con questi ultimi la trattativa più difficile riguarda l’inserimento del nome di Emma Bonino nel simbolo. Il Pd lo vuole perché al Nazareno si ritiene che quel nome attiri consensi, i radicali però non hanno ancora sciolto la riserva, anche se in realtà hanno già fatto sapere di voler candidare in un collegio sicuro Marco Cappato.
L’impegno di Renzi sul fronte delle alleanze è dimostrato anche dall’accoglienza che riserva a Franceschini, alfiere della coalizione, sul palco della Leopolda. Baci abbracci e scambio di cortesie.
Comunque Renzi continua a essere convinto che «parlare solo di alleanze sia un errore». Ciò che importa al segretario, in questo momento, è l’idea di dare l’immagine di un partito comunque unito, che condivide punti programmatici e proposte e non vive solo di «tatticismi» e « posizionamenti» interni.
Perciò, per la prima volta da quando questa iniziativa ha preso piede, alla Leopolda è presente Marco Minniti. Nelle settimane scorse si era parlato di lui come di un possibile concorrente di Renzi. Ieri il ministro dell’Interno è salito sul palco e, per la prima volta, parlando dell’immigrazione, non ha accennato allo ius soli perché sa che in questa fase per il Pd è difficile appoggiare questo provvedimento. Non solo, Minniti ha anche assicurato: «Matteo, ti ho sostenuto allo scorso congresso e non cambio idea».
In platea qualche renziano si è dato di gomito, e ha sussurrato: «Queste frasi equivalgono a un’ammissione di colpa». Ma al di là delle illazioni e dei sospetti, è stata su questa dichiarazione che Minniti ha ricevuto l’applauso più caloroso e lungo da parte del popolo della Leopolda.
Se anche si rifacesse il congresso confermerei il sostegno a Matteo La politica non è una tragedia shakespeariana, dove si tradisce nell’ombra