I killer della moschea erano mascherati e sventolavano drappi neri. Bombardate postazioni dei jihadisti
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
Colpire una moschea il venerdì di preghiera significa provare ad abbattere la maggior parte degli uomini nel piccolo villaggio. Che oltre ai sermoni ascoltano i proclami degli sceicchi: i capi locali li spingono a ribellarsi contro i soprusi. Nell’area di Bir Al Abed la tribù più potente è quella degli Sawarka, hanno dichiarato di sostenere le operazioni dell’esercito egiziano, di voler aiutare i militari a scacciare i miliziani in nero, di voler ripulire le strade da chi spadroneggia e taglieggia.
Molti di questi beduini sono anche seguaci del sufismo, la corrente mistica dell’islam. Un doppio affronto ai terroristi del Califfato — nella sua emanazione tra le pietre del Sinai — che considerano i sufi degli apostati da eliminare e non possono accettare la ribellione dei clan al loro potere.
L’attacco alla moschea di Al Rawda, nel Nord della penisola, è arrivato una settimana dopo le minacce — ricostruisce il giornale egiziano Mada Masr — ai leader religiosi perché la smettessero con quei rituali «eretici».
Le cerimonie in realtà si sarebbero svolte in un edificio di fronte alla moschea dove i fedeli sono stati intrappolati dalle bombe e dalle raffiche di mitragliatrice: i morti sono saliti a 305, tra loro 27 bambini. Il raid sanguinario è stato effettuato da una trentina di uomini mascherati, che sventolavano le bandiere dello Stato islamico, trasportati a bordo di cinque pick-up, i veicoli del deserto utilizzati per mobilitare in poche ore le truppe dell’orrore e controllare il territorio.
Nessuno ha per ora rivendicato il massacro, musulmani che uccidono altri musulmani. A mezzogiorno di ieri le campane delle chiese copte hanno suonato insieme per commemorare le vittime, la minoranza cristiana è tra le più perseguitate in Egitto.
Abdel Fattah al Sissi, il generale diventato presidente al Cairo, ha ordinato l’operazione «Vendetta per i martiri» e ieri gli elicotteri Apache hanno martellato quelle che sarebbero le postazioni degli estremisti.
Lo stato di guerra dichiarato dopo la strage ha rinviato l’apertura del valico di Rafah, tra Egitto e Gaza: la speranza dei palestinesi della Striscia di poter uscire dall’isolamento è rimasta ancora una volta serrata.
@dafrattini