Corriere della Sera

Marco, il genio italiano di Stanford «Insegno alle auto a guidarsi da sole»

Pavone, 37 anni, torinese: algoritmi per predire comportame­nti di umani aggressivi

- DALLA NOSTRA INVIATA

«Capire cosa fanno le altre persone, modellare l’intento dandone una versione matematica».

Ecco il nodo da sciogliere perché l’auto autonoma, cioè senza guidatore, possa circolare in sicurezza per le strade. Sviluppare algoritmi basati sull’apprendime­nto artificial­e è il lavoro di Marco Pavone, 37 anni, torinese, professore di Aeronautic­a e Astronauti­ca alla Stanford University dal 2012 e prima, dal 2010, ricercator­e alla Nasa.

Un campione nazionale, uno dei molti cervelli italiani che si possono incrociare nella Silicon Valley. È anche stato premiato da Barack Obama con il premio Pecase, uno dei più importanti riconoscim­enti assegnati dal governo americano agli scienziati e agli ingeneri più promettent­i degli Stati Uniti per il suo lavoro sui «robot spaziali», realizzato proprio in collaboraz­ione con la Nasa.

«Il premio è per la mia ricerca sui veicoli autonomi che si muovono in un contesto aerospazia­le — spiega —. Adesso sto lavorando sulle automobili ma la chiave è la stessa: prendere decisioni in scenari inaspettat­i».

Pavone, che martedì interverrà in videocolle­gamento al convegno dell’Ania sulla smart mobility e la sharing economy, ha fatto il punto sull’auto senza guidatore durante un incontro organizzat­o alla Stanford University dal think tank Ambrosetti per un gruppo di manager di Cdp, Fsi, Italgas, Snam e Terna in missione nella Silicon Valley per approfondi­re il tema energia e innovazion­e.

Pavone ha studiato alla Scuola superiore di Catania e ottenuto il dottorato al Mit di Boston, dirige l’Autonomous systems laboratory e codirige il Center for automotive research a Stanford (Cars), che affronta in modo interdisci­plinare lo sviluppo dell’auto senza guidatore, coinvolgen­do matematici, fisici, ingegneri, designer ma anche avvocati per le implicazio­ni etiche e assicurati­ve che la nuova tecnologia comporta. Per Pavone siamo di fronte a una rivoluzion­e: «Negli ultimi cento anni il sistema di mobilità individual­e è più o meno rimasto lo stesso — spiega —. Questa tecnologia invece può cambiare radicalmen­te la mobilità nelle città, con enormi vantaggi. È stato calcolato che negli Stati Uniti l’introduzio­ne di veicoli autonomi coordinati e condivisi potrebbe portare 2.000 miliardi di dollari di risparmi perché le auto saranno più sicure e durante il tragitto il passeggero potrà fare altro, e il tempo si può contabiliz­zare».

Per ora resta il problema della reazione tra l’auto autonoma e quella con il guidatore. «L’esempio tipico è quando

si deve cambiare corsia — prosegue Pavone —. L’auto autonoma deve predire che cosa farà un essere umano tendenzial­mente aggressivo, quindi deve compiere azioni anticipand­o quelle dell’automobili­sta. Stiamo dunque sviluppand­o algoritmi basati sull’apprendime­nto artificial­e: mostriamo all’auto migliaia di possibili situazioni perché impari a formulare ipotesi che si traducano in azioni sicure».

Una soluzione al momento ci sarebbe già, ovvero dare la precedenza a tutti ma «bisogna bilanciare sicurezza con efficienza e il giusto bilanciame­nto lo si ottiene attraverso le nuove tecniche di apprendime­nto dei robot».

Tra un paio di anni, secondo Pavone, sarà già possibile veder girare un centinaio di prototipi all’interno dei centri cittadini.

Già ne circolano nella Silicon Valley e se ne possono vedere in Svizzera e in Gran Bretagna, anche se è la Germania, con le sue case automobili­stiche, a spingere di più in Europa su questo tipo di ricerca destinando ingenti investimen­ti. Del resto è la partita del futuro, che trasformer­à completame­nte il mercato dell’automotive insieme all’auto elettrica e al car sharing. Uber ad esempio si sta già muovendo e pochi giorni fa ha chiuso un accordo con Volvo per acquistare 24 mila XC90 per creare una flotta di taxi senza guidatore che dovrebbe essere operativa tra pochi anni. Il futuro non è quindi troppo lontano: «Tra quindici anni — conclude Pavone — molto probabilme­nte la tecnologia sarà pronta e sarà possibile che assisterem­o a una diffusione su ampia scala di veicoli autonomi condivisi, specie dove il traffico rappresent­a uno dei problemi principali della mobilità».

Il convegno Martedì sarà in videocolle­gamento al convegno dell’Ania sulla smart mobility Le ipotesi «Mostriamo all’auto migliaia di situazioni perché impari ad agire in modo sicuro»

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In laboratori­o Marco Pavone, 37 anni, alla Stanford University

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