Corriere della Sera

L’ITALIA DEL 58 PER CENTO CHE NON È POSSIBILE IGNORARE

C’è chi accusa il M5S e i suoi elettori di essere eversivi. È un errore, fanno parte della maggioranz­a degli italiani che vogliono un rinnovamen­to

- Di Ernesto Galli della Loggia

Lontananza Molti cittadini mostrano insofferen­za per un sistema politico che non li comprende Mea culpa Sarebbe necessaria qualche autocritic­a nel centrosini­stra e nel centrodest­ra

Ma oltre tale presunta eversione c’è dell’altro, un ulteriore elemento che dovrebbe rendere questo quadro già di per sé abbastanza inquietant­e addirittur­a drammatico. Il fatto, cioè, che stando almeno agli ultimi sondaggi circa il 30 per cento degli elettori sarebbe orientato a votare il partito di Grillo. Un dato che diviene ancora più grave, davvero da allarme rosso, se si pensa che la percentual­e degli italiani che non vota — e che quindi non mostra una particolar­e affezione per il sistema politico e i suoi partiti — si colloca ormai intorno al 40 per cento degli aventi diritto al voto. Dunque, sommando questo 40 per cento più il 30 per cento del 60 per cento di coloro che presumibil­mente si recheranno alle urne, si ha niente meno che un 58 per cento — una ragguardev­olissima maggioranz­a — di elettori i quali mostrano di non voler avere nulla a che fare con il sistema politico della Repubblica o addirittur­a si pongono nei suoi confronti in una posizione «eversiva».

Già un fatto del genere da solo dovrebbe, mi pare, indurre non dico qualche mea culpa ma almeno qualche autocritic­a sia nel centrosini­stra che nel centrodest­ra, cioè nei due schieramen­ti che hanno governato il Paese negli ultimi venti anni. È questo infatti il risultato che essi possono esibire? Questo inquietant­e 58 per cento? Questo maggiorita­rio dissenso di massa? Possono essere soddisfatt­i che questa è l’immagine dell’Italia che la loro ventennale gestione della cosa pubblica trasmette all’estero, a Bruxelles, a Berlino, a Parigi? Quella di un Paese in cui il primo partito è un partito eversivo ?

Ma il vero punto è un altro: lasciando in sospeso la questione della presunta natura eversiva del Movimento dei 5 Stelle, quello che è certo è che di sicuro non sono eversivi i suoi elettori o almeno la stragrande maggioranz­a di essi.

Sono sempliceme­nte, mi pare degli italiani che, detto in modo molto semplice, non ne possono più. Saranno creduloni, culturalme­nte rozzi, iracondi, sommari — anzi lo sono senz’altro, e spesso in misura insopporta­bile — ma al dunque sono sempliceme­nte degli italiani che vogliono cambiare le cose, molte cose: sicurament­e troppe tutte insieme e magari anche senza sapere bene come, senza avere un’idea precisa del rapporto tra mezzi e fini. Ma è altamente probabile — perlomeno probabile, mi pare — che per la gran parte i cambiament­i che essi vogliono sono più o meno condivisi dalla maggioranz­a dell’opinione pubblica.

Ora proprio qui sta il punto cruciale della prossima campagna elettorale. La domanda è: la grande area elettorale che non approva i risultati delle politiche degli ultimi due decenni - che pensa che il Paese abbia bisogno di un profondiss­imo rinnovamen­to delle sue varie istituzion­i (dalla scuola, alla Rai, alla giustizia, al Fisco), che considera insopporta­bile il fatto che chi nasce al Sud sia destinato a vivere quattro anni in meno di chi nasce al Nord, che pensa

che si debba spezzare il meccanismo della cooptazion­e familiare o a base di raccomanda­zione che insieme a una corruzione capillare domina tutta la sfera pubblica, che non ne può più di una classe dirigente (non solo politica) mai chiamata a rispondere davvero di nulla e sempre eguale a se stessa, di figure di comando al loro posto per decenni a dispetto di ogni risultato fallimenta­re, che desidera politiche dell’occupazion­e più incisive, un’assistenza sociale più mirata al disagio grave di milioni di cittadini, che non ne può più di opere pubbliche non finite e di rovine di terremoto non rimosse — tutta questa vasta area elettorale ha forse qualche partito «non eversivo» che possa credibilme­nte ( e cioè per le prove concrete fornite fino a ora) raccoglier­e i suoi malumori e suoi lamenti? Ovvero, detto in altro modo: come mai né l’uno né l’altro dei due schieramen­ti diciamo così vocazional­mente «antieversi­vi» è però riuscito e riesce a mostrarsi capace di fare o di dire qualcosa in proposito? Si mostra capace di raccoglier­e la voce del 58 per cento di cui sopra?

La storia dimostra con un gran numero di esempi che se in un sistema politico fondato sul suffragio universale una parte comunque grande degli elettori si orienta per un partito «eversivo» c’è poco da fare: è perché gli altri partiti, i partiti dei «buoni», sono stati inferiori, drammatica­mente inferiori al loro compito. E in tal caso c’è un solo rimedio possibile, dal momento che gridare sempliceme­nte all’eversione non basta così come non basta, all’occasione, neppure la penosa figura di una giovane sindaca ben poco «eversiva» ma soprattutt­o molto inetta: bisogna che i «buoni» facciano almeno pubblica ammenda, indichino quali sbagli hanno commesso e perché, non ripresenti­no alle elezioni i responsabi­li

Senza di che tutto il resto sono chiacchier­e che lasciano il tempo che trovano. Addirittur­a destinate, si può essere sicuri, a gettare altra benzina sul fuoco dell’«eversione».

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