Corriere della Sera

«Racconto in musica il fascino della Milano decadente»

- Stefano Landi

Èun’alba california­na. Daniele Luppi da quasi 20 anni da quella parte dell’oceano vive e costruisce musica. «Quando sono arrivato qui per la prima volta ho scoperto punti di riferiment­o per la musica che mi sarebbe piaciuto fare» racconta. Così dopo «Rome», uscito nel 2011, a cui aveva lavorato con Danger Mouse, Jack White e Norah Jones, ecco il secondo capitolo del suo viaggio immaginari­o alla ricerca delle origini. «Milano» racconta storie di modaioli, disadattat­i, drogati nella Milano calata negli anni 80. E stavolta con lui in studio c’erano Parquet Courts e Karen O, voce degli Yeah Yeah Yeahs. «Registramm­o “Rome” con strumenti musicali degli anni 60, tra cui un organo trovato nel garage di un collezioni­sta di Vespe. Anche per “Milano” sono tornato qualche mese a casa. In un appartamen­tino in Brera, a due passi dall’Accademia, ho respirato il gusto di pace e stile».

Vivere a Los Angeles però gli ha permesso di incrociare i destini artistici di grandi del pop rock. Da Dave Gahan dei Depeche Mode ai Red Hot Chili Peppers, con cui è stato in studio per le registrazi­oni dell’ultimo «The Getaway».

Luppi non è un classico compositor­e, ma un produttore nato con la testa proiettata nel futuro. «Milano» è più che mai un concept album: «Nasce dal fascino della decadenza che mi stregò quando ancora ero ragazzino sommato a sonorità newyorches­i, tra Lou Reed e Iggy Pop. La scintilla è scattata ripensando alla passione per arte e design di David Bowie, che colleziona­va pezzi di Sottsass e del Gruppo Memphis» spiega Luppi. Che di Milano ha vissuto anni che oltre che da bere erano un enorme calderone sociale.

«Ero un ragazzino che perdeva l’innocenza. Modelle in giro vestite o svestite, le feste di amici più grandi che parlavano di cocaina mentre tu fino a poche settimane prima andavi al parco giochi e manco potevi riconoscer­e lo spacciator­e che ti trovavi davanti. Nel disco ho condensato queste atmosfere sporche che però hanno parecchia sostanza». Il disco chiude una sorta di trilogia tributo alle sua italianità (mamma milanese, padre romano) che è iniziata nel 2005 con «An Italian Story». «Molti della mia generazion­e sono cresciuti in case dove si ascoltava il cantautora­to all’italiana, io invece avevo gli Animals e i Beatles. Sto riscoprend­o oggi il primo Battisti, le poesie di Mogol».

Ma la musica italiana vista da L.A. ha una dimensione non esaltante: «L’ondata rap mi lascia sperare che qualcosa possa cambiare: il problema resta il suono. Si producono dischi che sembrano uscire da un Sanremo di vent’anni fa».

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Autore Musicista, compositor­e e produttore, Daniele Luppi è nato a Padova nel 1972

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