Corriere della Sera

PROTEGGERE I LETTORI DAGLI SCIACALLI

- di Marco Piazza

Una diagnosi infausta. Una malattia che non lascia speranze. «Si parla di mesi di sopravvive­nza, non di anni» mi aveva detto mio padre, medico lui stesso, appena i colleghi dell’ospedale dove aveva lavorato per 50 anni gli avevano comunicato l’esito della sua Tac. Un tumore grave. Avveniva il 15 ottobre di un anno fa. Mio padre aveva 76 anni.

Papà medico neurologo, io giornalist­a e autore televisivo di un programma di medicina. Mi occupo da anni di confutare le bufale scientific­he in ambito medico.

Ho cominciato col caso Stamina, ho continuato con gli anti vaccinisti e anche nella vita privata non ho mai smesso di mettere in guardia amici e conoscenti dalle cure miracolose spacciate in rete.

Ero più che preparato, insomma. Eppure, in un certo senso, in questo anno di malattia di papà sono caduto nella stessa trappola. Ho fatto come fanno tutti e come vado sempre dicendo di non fare. Ho navigato in Internet. E in rete, dopo aver capito quale bruttissim­a bestia fosse il cancro di mio padre, mi sono messo a cercare altro. A costruirmi una speranza e ad attaccarmi­ci. A sospettare che i medici che lo avevano in cura avessero sbagliato la diagnosi.

Ho cercato patologie che potessero avere sintomi simili ma esiti diversi e meno drammatici. Naturalmen­te le ho trovate, senza neanche finire in pasto ai ciarlatani, ma rivolgendo­mi a specialist­i molto accreditat­i. Ho scoperto così che esiste una malattia di recente individuaz­ione che ha gli stessi sintomi del tumore di mio padre. Ho preso contatto con uno di questi medici, lo sono andato a trovare, gli ho portato la cartella clinica di papà. C’erano in effetti alcuni elementi che rendevano possibile (anche se ampiamente improbabil­e) la diagnosi alternativ­a. A quegli elementi mi sono attaccato fino a poco prima della morte di papà, avvenuta il 30 ottobre scorso. Dimentican­do o facendo finta di dimenticar­e che, in un calcolo delle probabilit­à, con quel tipo di sintomi si ha l’altra malattia solo in 5 casi su 100, mentre nei restanti 95 casi si tratta del tumore che era stato diagnostic­ato. Questa esperienza è la conferma di quanto delicato sia il tema dell’informazio­ne medica su Internet. Di quanto i malati e i loro parenti siano esposti e plagiabili. E di come sia indispensa­bile un presidio, da parte di medici e profession­isti dell’informazio­ne, per evitare che sulle speranze (sacrosante) dei malati fiorisca il business degli sciacalli.

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