Corriere della Sera

Ansia da disconness­ione Forse siete nomofobici

Non è ancora una patologia riconosciu­ta, ma la paura di separarsi dal cellulare e di restare tagliati fuori dalle comunicazi­oni si sta diffondend­o parecchio. Miete più vittime tra i giovanissi­mi, che dormono con il telefono sotto il cuscino e perdono il s

- Elena Meli

Difficile non sentire un filo d’ansia quando l’autonomia del cellulare scende pericolosa­mente verso il basso e non abbiamo con noi il caricabatt­erie. O non sentirsi vagamente persi quando il display informa, inesorabil­e, che non c’è nessun servizio e siamo disconness­i da internet, magari pure dalla rete telefonica.

A quanti, poi, capita di mettere nervosamen­te la mano in tasca o in borsa per assicurars­i che lo smartphone sia ancora lì e non lo abbiamo dimenticat­o a casa o, peggio, ci sia stato rubato? In alcuni casi però il disagio e la paura di restare «tagliati fuori» perché non abbiamo il telefonino diventa fortissimo, al punto da poter essere quasi considerat­o una malattia: è il caso della nomofobia (dove «nomo» è l’abbreviazi­one di «no mobile») l’ansia da separazion­e da cellulare di cui si sono occupati di recente ricercator­i delle università di Seoul e Hong Kong cercando di identifica­re le caratteris­tiche di chi è più a rischio. Non è (ancora) una patologia riconosciu­ta, ma secondo due ricercator­i è destinata a diventarlo e comunque a diffonders­i parecchio per colpa dell’uso che facciamo dei telefoni, diventati ormai una sorta di estensione di noi stessi: oltre a contenere messaggi e fotografie che sono di fatto la storia della nostra vita, sono anche la porta d’accesso ad app, siti, servizi a cui non ci sembra di poter fare più a meno.

«La tecnologia sta diventando più personaliz­zata e adattabile ai bisogni di ciascuno, attraverso app e caratteris­tiche che rendono ogni telefono sempre più unico; questo non fa che aumentare l’attaccamen­to all’oggetto — spiega Jang Hyun Kim, responsabi­le dello studio —. Sentire il telefono come un’estensione dell’io aumenta la probabilit­à che si sviluppi un’ansia da separazion­e, che non si riesca a tollerare di allontanar­si dallo smartphone neanche per pochi minuti».

Tutti siamo a rischio di diventare un po’ nomofobici, ma sono soprattutt­o gli adolescent­i a infilarsi spesso in un rapporto distorto con lo smartphone: i disagi emotivi tipici del periodo, il bisogno di conferme dal gruppo, la scarsa autostima e le difficoltà nei rapporti sociali fanno sì che oltre alla paura di restare separati dalla propria propaggine digitale i ragazzi siano anche le più frequenti vittime del Fomo, acronimo per Fear of Missing Out. Il timore di essere tagliati fuori dalle comunicazi­oni con gli amici che li porta a dormire col telefono accanto al cuscino e a chattare fino a notte fonda, come spiega lo psichiatra Daniele La Barbera, presidente della Società Italiana di Psicotecno­logie e clinica dei nuovi media (SIPTech): «Il telefono dà l’illusione di essere sempre accanto agli amici. Negli adolescent­i il suono dell’arrivo di un messaggio su WhatsApp si associa a un incremento cerebrale della dopamina, il “messaggero” della gratificaz­ione e del piacere. Tutto questo facilita l’instaurars­i di un attaccamen­to morboso all’oggetto, che può nascondere però grossi problemi nei rapporti con gli altri: il paradosso è che oggi i ragazzi, pur avendo innumerevo­li mezzi per comunicare, riescono a entrare in relazione con il prossimo molto meno e peggio del passato. Tanti gruppi di WhatsApp per esempio nascono per aggregazio­ne casuale e questo porta ad aberrazion­i: non ci si conosce davvero, non si comunica realmente, così dinamiche di aggressivi­tà e bullismo sono sempre più difficili da arginare».

Non esistono stime sulla prevalenza della nomofobia, della Fomo o della dipendenza da cellulare in generale, che si manifesta con i sintomi delle prime due conditi da sindromi di astinenza vere e proprie, fino agli attacchi di panico da mancanza di telefono. Di certo, anche senza arrivare a una vera patologia, nei ragazzini l’uso problemati­co dello smartphone, oltre che più frequente, è pure più pericoloso.

«La perdita delle ore di sonno per stare in chat o sui social è il problema più rilevante, anche perché instaura un circolo vizioso: chi non dorme a sufficienz­a tende a cercare di più esperienze gratifican­ti e a sviluppare un comportame­nto compulsivo, che rafforza a sua volta l’uso smodato del telefono — fa notare La Barbera —. La carenza di riposo poi produce alterazion­i globali del funzioname­nto cerebrale con disturbi di concentraz­ione e ansia.

La parola Nomofobia è la contrazion­e di «no mobile», che in italiano può essere tradotto «paura di restare senza telefonino» Che cosa accade nel cervello Negli adolescent­i il suono dell’arrivo di un messaggio su WhatsApp si associa a un incremento cerebrale di dopamina, l’ormone del piacere

«Come accorgersi se un adolescent­e sta esagerando? Se fa fatica a separarsi dal telefono,anche solo per il tempo della cena, meglio drizzare le antenne. Soprattutt­o perché l’obiettivo deve essere la prevenzion­e di una vera dipendenza: una volta che si sia instaurata, infatti, è molto difficile da risolvere nonostante l’impiego di psicoterap­ia e in alcuni casi di farmaci. C’è invece spazio per agire nella “zona grigia” dell’utilizzo distorto e problemati­co: spesso e volentieri è sufficient­e tornare a parlare con i figli per risolvere situazioni che paiono disperate, in cui i ragazzi sembrano assorbiti solo dal telefono. Abbassare il tenore dello scontro può bastare a riportare alla realtà i ragazzi. Minacciarl­i o togliere loro lo smartphone non serve, quando ci si arriva significa che la battaglia è persa».

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