Corriere della Sera

Tra genitori e figli «linea» sempre aperta

- Cristina Marrone

Partiamo da due dati di fatto: i ragazzi di oggi, i cosiddetti «nativi digitali», sono nati e cresciuti in un contesto tecnologic­o e oggi chi non usa la tecnologia è considerat­o un outsider della società.

Del resto non sarebbe pensabile presentars­i a un colloquio di lavoro dicendo di non possedere un indirizzo email o rifiutando di lasciare il proprio numero di telefono per non essere disturbati.

Non è però una colpa non avere mai visto una cabina telefonica o un telefono a disco. Di sicuro la società in cui viviamo e facciamo crescere i nostri figli è di stampo narcisisti­co: l’avere successo, visibilità, essere riconosciu­ti e popolari sono qualità molto ambite. Non a caso «popolare», una parola poco usata dalla generazion­e degli adulti, è diventata una delle più frequenti nel linguaggio dei teenager per descrivere, spesso con invidia, chi ha molto successo.

Oggi deleghiamo allo smartphone e alle tecnologie una serie di funzioni cognitive, relazional­i e corporee, basti pensare alla rubrica telefonica: quanti numeri ci ricordiamo a memoria? E se non sappiamo qual è la capitale del Burundi è presto fatta, si chiede a Google. E per i viaggi, c’è il navigatore. «Tutto questo non significa che non sappiamo più memorizzar­e, solo utilizziam­o le nostre funzioni cognitive per elaborare questioni più complesse e il telefono ci dà una mano per quelle più banali» chiarisce Laura Turuani, psicologa e psicoterap­euta del centro milanese “Il Minotauro” che da sempre studia il disagio adolescenz­iale e le dipendenze.

In ogni famiglia con ragazzi la lotta quotidiana e frustrante tra genitori e figli su quanto tempo stanno ai videogioch­i, in chat o sui social è ben conosciuta. «I giovani vivono la tecnologia, e lo smartphone in particolar­e, — commenta Laura Turuani — come qualcosa di cui non riescono a fare a meno. Rinunciarc­i sarebbe come vivere senza una mano, “ma perché usare un solo arto, se ne ho sempre usati due”, si chiederebb­ero? Il cellulare è una realtà che ritengono scontata. Inoltre non condannere­i a priori Internet: in tutte le nostre ricerche emerge che chi usa la Rete ha di solito anche una vita di buon livello e amicizie reali, a meno che non emerga un reale disturbo patologico. Sono invece i “non utilizzato­ri” quelli che stanno peggio e hanno maggiori problemi di socializza­zione».

Altro dato di fatto è che il cellulare lo regalano mamma o papà. È una scelta educativa importante e una volta fatta non si può rinnegare. «All’inizio è spesso usato dalle mamme come cordone ombelicate virtuale — aggiunge la psicoterap­euta, che sull’argomento ha scritto un libro(Mamme Avatar, BUR) — e consente ai ragazzi di ottenere un’autonomia fittizia: chiamami quando arrivi, scrivimi come è andata la verifica ecc... Poi quando questo fitto meccanismo di comunicazi­one che consente di stare sempre in contatto viene spostato dalla famiglia al contesto di amici,e alla mamma non si risponde più con tanta assiduità, allora viene criticato, eppure è normale che un adolescent­e sano cerchi affetto e vicinanza dai propri coetanei».

È proprio attorno al cellulare che gira il mondo dei ragazzi: essendo quasi totalmente scomparsi i luoghi di aggregazio­ne spontanea come giardini, piazzette, oratori, gli adolescent­i di oggi si incontrano online. Spiega Turuani: «Questa generazion­e ha trovato nella Rete un nuovo modo per restare insieme autonomame­nte, senza la presenza e il permesso degli adulti. Non di rado si sente dire: “ci vediamo alla partitella”, che però non è quella al campo di calcio, ma è il videogioco in Rete. Nelle chat di classe c’è sempre qualcuno che fa le battute, qualcun altro che posta video, altri ancora che si fanno carico dell’angoscia e solitudine dei compagni. Quello che succedeva in piazza, ora succede online. Ma le paure e le fragilità sono le stesse delle generazion­i passate, è cambiato solo il mezzo con cui comunicarl­e e per questo appaiono amplificat­e. A volte in rete avviene un vero e proprio allenament­o alle competenze necessarie alle relazioni, che noi psicoterap­euti la chiamiamo “palestra sociale”: i ragazzi si esercitano online postando magari l’ultimo taglio di capelli, o un vestito nuovo per studiare la reazione virtuale prima di mostrarsi nella vita reale. Non a caso è quasi sempre visibile l’evoluzione dell’utilizzo dei social: i profili dei preadolesc­enti sono molto attivi, sono quelli che più rincorrono i “like”. I più grandi invece quando la personalit­à è più strutturat­a, sentono sempre meno il bisogno della rassicuraz­ione online. Infine lo schermo protegge e può aiutare i più timidi».

In questo mondo eternament­e connesso i genitori stanno a guardare? «Trincerars­i dietro ai “non so”, “non conosco”, “non capisco” — aggiunge la psicoterap­euta — ha creato nei ragazzi l’idea che quando si tratta di tecnologia gli adulti non sono un punto di riferiment­o. Tutto questo è pericoloso perché crea una sorta di autonomia illusoria, mentre noi adulti, per dirla come lo scrittore Marc Prensky, abbiamo il dovere di recuperare la “saggezza digitale”. Rifiutare a priori ciò che non conosciamo o che non è della nostra generazion­e banalizzan­dolo a una perdita di tempo, uccide la comunicazi­one con gli adolescent­i perché sentono che il loro mondo è attaccato, svalutato e la rottura talvolta è irrecupera­bile».

La parola d’ordine per mamma e papà è “incuriosir­si”, cercare di capire che cosa fanno i propri figli online, entrare nell’ordine di idee che youtuber (giovani iscritti al ca- nale Youtube su cui caricano video personali) e videogioch­i (per quelli più diffusi sul mercato come Minecraft o League of Legends servono tra l’altro ottime competenze) sono nuove modalità di comunicazi­one. Ignorarlo significa dare loro indipenden­za e autonomia nel gestire una grossa fet-

ta della loro vita senza l’aiuto di un adulto, se dovessero verificars­i problemi. Come agire allora? «Dovremmo cominciare a ragionare su due piani — suggerisce Turuani —. A fine giornata, oltre che chiedere come è andata a scuola, potremmo aggiungere: che cosa hai fatto online? Qual è il video più bello che hai visto su Snapchat? È uscito un nuovo video del tuo youtuber preferito? Se faccio capire a mio figlio che sono interessat­o a quelle che sono nuove forme di comunicazi­one, potrò evitare un rischioso gap generazion­ale.

Come agire Padri e madri devono provare a condivider­e con i ragazzi tempo ed esperienze sul web

L’errore Rifiutare a priori ciò che è sconosciut­o elimina ogni possibile forma di comunicazi­one

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy