Il cielo scuro del vulcano Agung
Polvere e fumo grigio. Colonne alte fino a 4 mila metri escono dal cratere del vulcano Agung. È tornata la paura sull’isola indonesiana di Bali. Già paralizzato il traffico aereo. E a rischio anche il turismo. Anche perché si teme il peggio, cioè una nuova eruzione ancora più intensa di quella in atto. Con il terrore che si ripeta quanto accadde un anno fa.
La paura è tornata sull’isola indonesiana di Bali. Dal cratere del vulcano Agung si alzano fino a 4 mila metri colonne di polvere e fumo grigio che già paralizzano il traffico aereo e mettono in crisi il turismo. Anche perché si teme il peggio, cioè un’eruzione ancora più intensa di quella in atto con il terrore che si ripeta quanto accaduto un anno fa, il 25 novembre, quando un’esplosione magmatica costrinse all’evacuazione 29 mila persone insediate intorno al vulcano. La scena si ripete in queste ore e 25 mila persone sono fuggite dalle loro case.
Ma la paura maggiore riporta allo spettro della tremenda eruzione del 1963 quando tra, febbraio e maggio, il magma e le polveri, oltre alle piogge causate dagli scompensi climatici, provocarono — colpendo a più riprese — la morte di 1.600 persone.
Gli abitanti dell’Isola e i turisti guardano con costante tremore al monte Agung, il più alto dell’Indonesia con i suoi 3.031 metri, e pure con una sorta di reverenza perché la vetta è considerata la replica del mitico monte Meru ritenuto l’asse centrale dell’universo nella cosmologia induista e e buddhista.
Purtroppo la zona rientra nella famosa «cintura di fuoco» che circonda l’Oceano Pacifico. Qui, a causa della spinta delle placche circostanti, una catena di vulcani mantiene il record della maggiore attività e i terremoti nelle aree interessate sono anch’essi tra i più violenti.