Corriere della Sera

«Merito le botte, è colpa mia» Gli ultimi messaggi di Emily

Picchiata dal fidanzato, si è uccisa. I suoi sms affissi nei campus

- di Paola De Carolis

«Me lo merito. È colpa mia. L’ho fatto arrabbiare». È il triste paradosso delle vittime della violenza domestica: la sensazione che le percosse siano dovute a una loro mancanza, che la responsabi­lità sia loro e non di chi le picchia. In questo caso, le parole sono particolar­mente strazianti perché appartengo­no a una diciottenn­e, Emily Drouet, che di fronte all’incapacità di gestire la relazione e gli abusi si è tolta la vita.

Da questa settimana i pensieri che Emily affidò alle amiche con sms e email poco prima del suicidio sono riprodotte su poster che campeggian­o nell’università di Aberdeen, che la ragazza frequentav­a, ed altri atenei scozzesi: una campagna d’informazio­ne voluta dalla madre di Emily, Fiona Drouet, affinché la scomparsa della figlia possa in qualche modo aiutare altre giovani donne a capire che «la violenza non è mai giustifica­bile, che non sono sole, che una via d’uscita c’è».

Come per tante sue coetanee, l’inizio degli studi di legge all’università rappresent­ava per Emily non solo una nuova avventura, ma anche il primo allontanam­ento dalla famiglia. Aveva subito notato Angus Milligan: uno studente di psicologia di qualche anno più grande, bravo negli sport, bello, sicuro di sé. Sembrava il ragazzo ideale. Dietro l’aspetto suadente, si celava una personalit­à violenta, che era emersa in fretta. Se alla madre mandava foto allegre di lei in cucina che preparava da mangiare per gli amici, Emily in privato era in suo pugno: Angus la prendeva a schiaffi, le sferzava calci, le stringeva il collo.

Le amiche oggi non si danno pace. All’epoca dei fatti, lo scorso marzo, non avevano però saputo reagire con decisione ai messaggi di Emily. «Tesoro, non te lo meriti, non stare da sola con lui, denuncialo alla polizia», le aveva scritto una. «Sì, invece, me lo merito» aveva risposto Emily. Per la madre, leggere gli scambi sul telefono della figlia è stato «sconcertan­te». Ha chiesto lei che fossero pubblicati e diffusi tra gli studenti. «Emily era una ragazza piena di vita, equilibrat­a, sempre di buon umore. Che si sia ridotta a credere di essere responsabi­le delle violenze fisiche e psicologic­he che ha sofferto mostra l’insidiosa e pericolosi­ssima dinamica di queste relazioni».

Ancora oggi, a un anno e mezzo dalla perdita della figlia, Fiona, il marito e i fratelli di Emily vivono la tragedia del lutto. «Non ci siamo ripresi, non credo che riusciremo mai a superare completame­nte ciò che è successo». A torturarli sono i se: cosa sarebbe successo se le amiche di Emily avessero avuto la prontezza di intervenir­e? Cosa sarebbe avvenuto se il consulente per gli studenti ai quali Emily si era rivolta avesse capito che dietro le mezze parole della ragazza c’era una truce realtà? «Uno dei miei obiettivi — ha sottolinea­to la signora Drouet — è che ci sia un minimo di addestrame­nto per questi consulenti, spesso giovani e inesperti quasi quanto gli studenti che dovrebbero aiutare». Al momento, precisa, non c’è una procedura chiara, non ci sono fattori identifica­bili che fanno scattare l’allarme. Milligan, che si è dichiarato colpevole di aver picchiato Emily e averle mandato messaggi oltraggios­i ma non della sua morte, è stato condannato a 180 ore di servizi comunitari.

 ??  ?? Violenza domestica Emily Drouet, 18 anni, studiava Giurisprud­enza all’università di Aberdeen. Il fidanzato la picchiava. Nel marzo 2016 si è tolta la vita
Violenza domestica Emily Drouet, 18 anni, studiava Giurisprud­enza all’università di Aberdeen. Il fidanzato la picchiava. Nel marzo 2016 si è tolta la vita

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