I bambini non siano vittime «secondarie»
Come tutte le guerre, anche quelle familiari producono i loro effetti «collaterali», tra virgolette perché quando si parla di vittime è difficile utilizzare certi aggettivi. Le «vittime secondarie» dei femminicidi sono spesso i figli, che a volte vengono travolti dalla follia omicida del genitore, ma che anche quando sopravvivono alla strage rimangono vittime: orfani che si porteranno per tutta la vita negli occhi e nel cuore la ferocia reciproca delle persone a loro più care. Un’indagine presentata nel settembre 2016 a Montecitorio da Switch Off ha rivelato che nel 40% dei casi i figli, in gran parte minorenni, sono presenti all’uccisione della madre. Gli orfani del femminicidio sono dunque orfani tre volte: della madre assassinata, del padre omicida e anche di se stessi, perché è pressoché impossibile ricostruirsi un’identità e un equilibrio dopo aver vissuto un trauma del genere. C’è un infanticidio fisico e c’è un «bambinicidio» morale. Fatto sta che dei bambini si parla sempre troppo poco: e tutt’al più se ne parla in modo «collaterale». Il nostro senso di colpa, se c’è, ha trasformato i bambini nell’ultimo tabù. Uno dei mali della nostra società è che abbiamo rimosso l’infanzia, e se il nostro mondo non è un paese per vecchi, è (e sarà) sempre meno un paese per bambini. Anche quando li soffochiamo di iperprotezione, di ansia, di gratificazioni materiali e no, di irresponsabilità adolescenziale. Da un eccesso all’altro. Comunque lo si guardi, non è un mondo per bambini: ancora oggi, come sempre, sono loro le vittime «secondarie» delle guerre di ogni tipo (tra adulti), saranno loro le vittime sacrificali delle nostre scelleratezze ambientali, sono loro le vittime delle nostre dismisure consumistiche, sono loro le vittime degli squilibri economici. Per non dire delle tragedie migratorie: cifre nella contabilità funebre quotidiana («anche oggi tot morti di cui tot minori...»). Abbiamo imparato a parlare delle donne maltrattate (dagli uomini), dobbiamo ancora imparare a parlare dell’infanzia offesa (dagli adulti in generale).