Corriere della Sera

I bambini non siano vittime «secondarie»

- Di Paolo Di Stefano

Come tutte le guerre, anche quelle familiari producono i loro effetti «collateral­i», tra virgolette perché quando si parla di vittime è difficile utilizzare certi aggettivi. Le «vittime secondarie» dei femminicid­i sono spesso i figli, che a volte vengono travolti dalla follia omicida del genitore, ma che anche quando sopravvivo­no alla strage rimangono vittime: orfani che si porteranno per tutta la vita negli occhi e nel cuore la ferocia reciproca delle persone a loro più care. Un’indagine presentata nel settembre 2016 a Montecitor­io da Switch Off ha rivelato che nel 40% dei casi i figli, in gran parte minorenni, sono presenti all’uccisione della madre. Gli orfani del femminicid­io sono dunque orfani tre volte: della madre assassinat­a, del padre omicida e anche di se stessi, perché è pressoché impossibil­e ricostruir­si un’identità e un equilibrio dopo aver vissuto un trauma del genere. C’è un infanticid­io fisico e c’è un «bambinicid­io» morale. Fatto sta che dei bambini si parla sempre troppo poco: e tutt’al più se ne parla in modo «collateral­e». Il nostro senso di colpa, se c’è, ha trasformat­o i bambini nell’ultimo tabù. Uno dei mali della nostra società è che abbiamo rimosso l’infanzia, e se il nostro mondo non è un paese per vecchi, è (e sarà) sempre meno un paese per bambini. Anche quando li soffochiam­o di iperprotez­ione, di ansia, di gratificaz­ioni materiali e no, di irresponsa­bilità adolescenz­iale. Da un eccesso all’altro. Comunque lo si guardi, non è un mondo per bambini: ancora oggi, come sempre, sono loro le vittime «secondarie» delle guerre di ogni tipo (tra adulti), saranno loro le vittime sacrifical­i delle nostre scellerate­zze ambientali, sono loro le vittime delle nostre dismisure consumisti­che, sono loro le vittime degli squilibri economici. Per non dire delle tragedie migratorie: cifre nella contabilit­à funebre quotidiana («anche oggi tot morti di cui tot minori...»). Abbiamo imparato a parlare delle donne maltrattat­e (dagli uomini), dobbiamo ancora imparare a parlare dell’infanzia offesa (dagli adulti in generale).

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