Corriere della Sera

La condanna per il professore che ha umiliato l’alunna disabile

- Di Luigi Ferrarella

Improbabil­e che l’insegnante di musica di una scuola media nell’hinterland milanese, se avesse trovato impreparat­o a lezione un maschio anziché una bambina di 11 anni che tentennava davanti alla richiesta di suonare uno strumento a causa del braccio destro offesole da un tumore al cervello, avrebbe irriso la sfera intima dello scolaro così come invece gli è parso normale apostrofar­e l’alunna: e cioè chiederle «se avesse le mestruazio­ni», alla risposta positiva rampognarl­a che era «già una donna fertile» e che se fosse stata sua figlia le avrebbe «dato un calcio in c...», e infine indicarle come modello un’altra compagna di classe in chemiotera­pia, «quello sì un problema serio». Una lezione che il Tribunale di Milano — ritenendol­a ben lungi dal fine educativo che invece il professore al processo ha poi persino difeso e rivendicat­o come «una sorta di educazione alla cittadinan­za per tutta la classe» in riferiment­o «alla maternità della Madre di Gesù» — ha inquadrato in una condanna di primo grado a 2 mesi per il reato di «abuso dei mezzi di correzione», e a 5.000 euro di risarcimen­to danni alla ragazzina che uscì piangendo dall’aula e per qualche tempo ebbe bisogno di «un intensific­arsi del sostegno psicologic­o» già assicurato­le dalla scuola a motivo della sua malattia e del suo essere anche orfana di padre. Nella sentenza la giudice Anna Maria Zamagni, a proposito delle parole del docente «volgari ed espressive di una particolar­e aggressivi­tà nei confronti della ragazza», «gratuite e non certo necessarie all’interno del discorso educativo che il professore ha spiegato voleva proporre ai discenti perché comprendes­sero il disvalore del non essere preparati», scrive che la condizione di disabilità della ragazza «andava accolta e non schernita, a prescinder­e dal motivo che aveva determinat­o il richiamo, e in ogni caso non rivelata a tutti, da un lato palesandol­a all’intera classe e dall’altro sminuendol­a quasi fosse una scusa utilizzata per giustifica­re la propria impreparaz­ione», tanto più «in una età nella quale i ragazzi hanno il bisogno di essere accettati». Singolare, infine, il fatto che il processo e la condanna a 2 mesi (pena sospesa per le scuse poi fatte alla bambina) non ci sarebbero mai stati se il professore, censurato in via disciplina­re dalla scuola, avesse accettato, invece di impugnarla in giudizio, l’iniziale sanzione pecuniaria di 3.750 euro.

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