La condanna per il professore che ha umiliato l’alunna disabile
Improbabile che l’insegnante di musica di una scuola media nell’hinterland milanese, se avesse trovato impreparato a lezione un maschio anziché una bambina di 11 anni che tentennava davanti alla richiesta di suonare uno strumento a causa del braccio destro offesole da un tumore al cervello, avrebbe irriso la sfera intima dello scolaro così come invece gli è parso normale apostrofare l’alunna: e cioè chiederle «se avesse le mestruazioni», alla risposta positiva rampognarla che era «già una donna fertile» e che se fosse stata sua figlia le avrebbe «dato un calcio in c...», e infine indicarle come modello un’altra compagna di classe in chemioterapia, «quello sì un problema serio». Una lezione che il Tribunale di Milano — ritenendola ben lungi dal fine educativo che invece il professore al processo ha poi persino difeso e rivendicato come «una sorta di educazione alla cittadinanza per tutta la classe» in riferimento «alla maternità della Madre di Gesù» — ha inquadrato in una condanna di primo grado a 2 mesi per il reato di «abuso dei mezzi di correzione», e a 5.000 euro di risarcimento danni alla ragazzina che uscì piangendo dall’aula e per qualche tempo ebbe bisogno di «un intensificarsi del sostegno psicologico» già assicuratole dalla scuola a motivo della sua malattia e del suo essere anche orfana di padre. Nella sentenza la giudice Anna Maria Zamagni, a proposito delle parole del docente «volgari ed espressive di una particolare aggressività nei confronti della ragazza», «gratuite e non certo necessarie all’interno del discorso educativo che il professore ha spiegato voleva proporre ai discenti perché comprendessero il disvalore del non essere preparati», scrive che la condizione di disabilità della ragazza «andava accolta e non schernita, a prescindere dal motivo che aveva determinato il richiamo, e in ogni caso non rivelata a tutti, da un lato palesandola all’intera classe e dall’altro sminuendola quasi fosse una scusa utilizzata per giustificare la propria impreparazione», tanto più «in una età nella quale i ragazzi hanno il bisogno di essere accettati». Singolare, infine, il fatto che il processo e la condanna a 2 mesi (pena sospesa per le scuse poi fatte alla bambina) non ci sarebbero mai stati se il professore, censurato in via disciplinare dalla scuola, avesse accettato, invece di impugnarla in giudizio, l’iniziale sanzione pecuniaria di 3.750 euro.