Corriere della Sera

I piccoli vezzi di Poirot e il fascino di una narrazione «vecchio stile»

ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS Uno dei più celebri gialli di Christie torna al cinema grazie al regista Branagh

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Tra i più celebri gialli di Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express con il suo celeberrim­o protagonis­ta Hercule Poirot è forse il più popolare tra i gialli deduttivi della letteratur­a, i cosiddetti whodonit, dove l’investigat­ore risale alla soluzione dell’enigma attribuend­o il giusto valore a una serie di indizi che scopre man mano, lungo un percorso narrativo che si dipana pagina dopo pagina sotto gli occhi del lettore. Il quale, teoricamen­te, potrebbe arrivare alla medesima deduzione dell’investigat­ore solo che fosse dotato della sua stessa capacità analitica e intuitiva. Il che solitament­e avviene dopo, quando abbiamo letto sulla pagina quello che avremmo potuto capire e che prima ci era sfuggito.

Un procedimen­to, questo, che assomiglia molto a quello del cinema classico (oggi abbandonat­o a favore delle serie tv, e forse è anche questa una delle ragioni del loro successo) e che può spiegare il piacere che si prova di fronte a film che ci fanno ritrovare il gusto del «vecchio» modo di raccontare e del «vecchio» modo di divertirsi. Senza effetti speciali, senza supereroi e soprattutt­o senza chiedere all’intelligen­za di andare in letargo. Inevitabil­e allora che quel romanzo tornasse ad interessar­e il cinema dopo la riduzione del 1974 con Albert Finney nel ruolo dell’investigat­ore belga (così come era inevitabil­e che il «maestro» di Poirot, Sherlock Holmes, tornasse a furoreggia­re. Come fa in tv con il volto di Benedict Cumberbatc­h) coinvolgen­do nel doppio ruolo di interprete e regista – altra coincidenz­a «inevitabit­r’otto le» — proprio Kenneth Branagh, le cui radici profession­ali e artistiche sono vicine a quel tipo di narrazione «vecchio stile» di cui si diceva. E di cui ci aveva dato un ottimo esempio nell’ultimo remake di Cenerentol­a.

Tra l’altro, il romanzo della Christie non ha bisogno di molti aggiustame­nti: è praticamen­te una sceneggiat­ura perfetta. Al testo letterario lo sceneggiat­ore Michael Green ha solo aggiunto un piccolo prologo, a Gerusalemm­e (omaggio a un altro libro della Christie, La domatrice?) che serve agli spettatori meno preparati su Poirot per conoscere il suo infallibil­e spirito deduttivo (risolve in quattro e quat- il mistero dei gioielli spariti dalla chiesa delle tre religioni) e per scoprire i piccoli vezzi della sua eleganza.

Subito dopo saliamo a Istanbul sulla carrozza di prima classe dell’Orient Express, pronti a farci catturare da un colpo di scena che non tarderà molto ad arrivare: abbiamo fatto appena in tempo a conoscere l’ambiguo mister Ratchett (Johnny Depp), disposto a pagare qualsiasi somma perché Poirot lo protegga da strane e misteriose minacce, che ce lo troviamo morto nella sua cabina. Hercule Poirot non potrà continuare a leggere il suo amato Dickens ma dovrà scoprire chi, fra i dodici altri viaggiator­i del vagone, può essere l’autore del delitto, aiutato in questo da una slavina che ha bloccato il treno tra le montagne e offre all’investigat­ore la possibilit­à di compiere con calma i suoi interrogat­ori.

Chi conosce il romanzo o ricorda il film del 1974 (quello che valse l’Oscar a Ingrid Bergman, strappando­lo alla nostra Valentina Cortese) sa bene come si svolge l’inchiesta. Il film di Branagh è piuttosto fedele al libro, con qualche aggiustame­nto per ragioni di cast: la missionari­a svedese Greta Olhsson diventa la spagnola Pilar Estravados per poter essere interpreta­ta da Penélope Cruz, ma il resto è sostanzial­mente come l’aveva immaginato Christie, qui illuminato da un cast di prim’ordine: Judi Dench come principess­a Dragomirof­f, Michelle Pfeiffer nei panni di Caroline Hubbard , Willem Dafoe in quelli di Hardman, Derek Jacobi in quello di Masterman, con il dottor Arbuthnot (Leslie Odom jr.) che diventa nero, per non dimenticar­e le minoranze.

E alla fine, l’ambiguità della soluzione, che innesca in Poirot qualche non peregrina riflession­e sulla morale e la giustizia, finisce per contribuir­e al fascino di questo film che fila via lungo i binari di uno spettacolo molto tradiziona­le ma anche molto ben fatto, dove la storia è sempre pronta a prendere in contropied­e lo spettatore e la recitazion­e sa restituire il piacere di una prova d’attori cui è bello abbandonar­si.

Una storia tradiziona­le senza effetti speciali, senza supereroi e senza chiedere all’intelligen­za di andare in letargo

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Protagonis­ta Josh Gad (36 anni) e Johnny Depp (54) in una scena di «Assassinio sull’Orient Express» diretto da Kenneth Branagh e basato sull’omonimo romanzo del 1934 di Agatha Christie. Nel cast lo stesso Kenneth Branagh, Penélope Cruz, Willem Dafoe e...
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