Shakespeare, l’Africa e il rock nella nuova sfida di Einaudi
Il pianista: «Un festival con tanti ospiti per riflettere sull’idea di creatività»
L’appuntamento Il compositore atteso al teatro Dal Verme di Milano per una lunga maratona di dieci giorni
Dieci concerti. Con dieci ospiti diversi. È la nuova sfida di Ludovico Einaudi. Il compositore e pianista sarà al Dal Verme di Milano dall’8 al 17 dicembre per uno spettacolo doppio (e diverso) ogni sera: al suo concerto seguirà, in una sala più piccola, l’esibizione dell’ospite a sorpresa della giornata precedente. Un’avventura in cui la musica di Einaudi si confronterà con altri orizzonti, dal rock di Kazu Makino e Amedeo Pace dei Blonde Redhead alla kora e all’Africa di Ballaké Sissoko, dalla voce dell’attore shakespeariano Jonathan Moore all’Orchestra dei Pomeriggi Musicali.
Un mini festival o Einaudi and friends?
«Un festival per mescolare carte, ipotesi e punti domanda e per riflettere sull’idea di creatività. Con alcuni ospiti ho già collaborato, con altri sarà il primo incontro, quasi delle prove aperte al pubblico».
Dopo un tour che l’ha portata in tutto il mondo, 10 giorni di fila a Milano...
«Volevo creare la sensazione di occupazione di un teatro. E il carattere di residency sarà accentuato da un allestimento per la facciata, il foyer e le sale realizzato per l’occasione».
Da qualche anno il pianoforte da solo non le basta più... Che fa, tradisce?
«No, alla guida della barca c’è sempre il piano, ma la condivisione è uno degli aspetti più interessanti della musica».
Gli studi con Luciano Berio e la Notte della Taranta. Come li tiene assieme?
«Non faccio nulla di nuovo... negli Anni 60 Berio fece un ciclo di arrangiamenti per dei canti popolari. Mi interessa esplorare territori nuovi e portare il pubblico per mano verso il baratro dello sconosciuto. Se però devo citare un estremo direi il concerto su
una piattaforma galleggiante fra il ghiaccio delle Isole Svalbard per Greenpeace».
La sua musica è senza parole, ma spesso si è ispirato alla letteratura.
«Una riflessione di Kandinski sull’arte figurativa mi ha ispirato dei suoni. “Le Onde” prende dall’omonimo romanzo di Virginia Woolf, in particolare dal ripetersi di una visione quasi fotografica di un paesaggio. Avere un’idea guida mi aiuta anche a dare una cornice e a scegliere».
Lei è figlio dell’editore Giulio Einaudi. Eredità di famiglia?
«Preferisco stare lontano dall’autoanalisi psicologica e guardare avanti. Certo è che sono cresciuto in mezzo ai libri. Ho avuto la fortuna di conoscere dei grandi. Italo Calvino era come uno zio, abitava sopra casa nostra. Mi ricordo come importanti quei momenti in cui mi dedicava la sua attenzione».
Ha mai preso ispirazione dai suoi scritti?
«Mai direttamente, ma le sue opere mi risuonano dentro. L’idea di variazione contenuta in Le città invisibili è un aspetto della mia musica».
Il primo pianoforte?
«Non ricordo la prima volta che l’ho suonato. Ce n’era uno in casa, lo suonava mamma e per me era come il caminetto sempre acceso. Da allora ne ho sempre avuto uno. Adesso ne ho cinque: due nell’appartamento di Milano, quello verticale di mamma e altri due a coda in campagna a Dogliani».
Nato a Torino, milanese di adozione. Dove è casa?
«A Dogliani dove c’è la casa di famiglia. Preferisco la tranquillità della campagna al dinamismo e alla frenesia della città».