Il documentario per ricordare Sara che non cede alla tv del dolore
Tutto il male che vediamo è da capire, smisurata quanto impenetrata forza. Soprattutto quando il male è indicibile perché coinvolge gli innocenti. Sara Di Pietrantonio aveva ventidue anni quando è stata barbaramente assassinata per gelosia dal suo ex fidanzato, un giovane di ventisette anni che non si è limitato a toglierle la vita ma ha anche dato fuoco al suo corpo nel parcheggio di un ristorante, in un’ansa di via della Magliana, Roma, in piena notte, dopo averla seguita per settimane e aver incendiato quella stessa notte anche la sua macchina. Il capo della squadra mobile di Roma Luigi Silipo, che ha seguito le indagini, ha raccontato: «All’epoca dei fatti dissi di non aver mai visto, in 25 anni di polizia, un omicidio così feroce e così terribile. Quello che mi ha colpito in questo delitto è che il nulla ha provocato la fine di una vita che stava solamente per cominciare». Potrebbe sembrare la trama di una puntata di «Gomorra» ma purtroppo è un fatto reale e l’ha raccontato con grande misura e tatto il documentario «Sara» trasmesso sabato sera da Real Time (canale 31 del digitale terrestre) in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Tematiche di questo tipo sono così importanti e forti che spesso la forma con cui vengono raccontate passa in secondo piano, ma il documentario, scritto da Daniele Autieri, Stefano Pistolini e Giuseppe Scarpa e realizzato da Stefano Pistolini e Massimo Salvucci, era molto ben fatto e non ha ceduto neanche per un momento alla morbosità della tv del dolore. C’erano le ricostruzioni della polizia che hanno spiegato gli aspetti tecnici delle indagini e dei reati commessi e gli interrogatori al killer arrestato poco dopo il delitto, una discesa verso l’abisso di una violenza fisica e morale difficilmente immaginabile. E soprattutto c’erano i ricordi di chi la conosceva, su tutti la madre, per aiutare a capire e anche ricordare, dare un volto alla povera Sara.