Corriere della Sera

L’importanza di un leader

LA RIFLESSION­E LE NAZIONI E I LORO CAPI

- Di Aldo Cazzullo

Si intitola «L’ora più buia», ma potrebbe intitolars­i «L’importanza di avere un leader», o di esserlo. La scena chiave è quando Winston Churchill, da pochi giorni primo ministro, prende la metro. È la prima volta in vita sua, ha già tentato di farlo in un giorno di sciopero, ma si è perso.

Nel vagone tutti lo riconoscon­o, e anziché insultarlo o ignorarlo come magari farebbero oggi — sempre che sia ipotizzabi­le l’idea di un premier che si muove in metro — si alzano in piedi, gli danno la mano e si presentano. Churchill improvvisa un sondaggio: la Francia sta per capitolare, i nazisti preparano l’invasione dell’Inghilterr­a: bisogna trattare? «Never! Never!» gridano tutti, muratori, neri, donne, pure una bambina: «Mai!». Cosa bisogna fare, allora? «Fight!», combattere! È lì che Churchill, tentato dall’ipotesi di trattare con Hitler attraverso «il lacchè Mussolini», matura la sua scelta e il suo discorso in Parlamento: «Combattere­mo sui mari e sugli oceani, combattere­mo con crescente fiducia e crescente forza nell’aria, combattere­mo sulle spiagge, combattere­mo nei campi e nelle strade… Non ci arrenderem­o mai».

L’episodio della metro non è storicamen­te attestato, ma è verosimile. Churchill viveva tra il bunker e Westminste­r, ma talora si concedeva un’incursione tra la gente comune, spesso conclusa dalle lacrime («piagnucolo un po’ troppo…»). Il film di Joe Wright — che sarà presentato al festival di Torino, uscirà prima in America, poi in Inghilterr­a, infine il 18 gennaio in Italia — è l’ideale seguito di «Dunkirk». Se l’opera di Christophe­r Nolan mostrava la reazione di un esercito e di un popolo, questa racconta i tormenti e la decisione di un leader. L’unica scena in comune è l’arrivo delle barche da diporto sulla spiaggia di Dunkerque, per riportare in Inghilterr­a «our boys», i nostri ragazzi, come li chiama Churchill. Per il resto è un film che rischiereb­be di risultare claustrofo­bico, se non fosse per la recitazion­e di Gary Oldman (può apparire caricatura­le solo a chi non ha ascoltato i discorsi di Churchill, pronunciat­i con la voce impastata dallo scotch) e per la forza straordina­ria delle parole e dall’empatia del capo con la nazione.

Churchill non è un populista, anzi, è figlio di un’Inghilterr­a privilegia­ta e lo rivendica; ma sa che il cedimento al nazismo avrebbe conseguenz­e gravi soprattutt­o per la classe popolare. Non ha «il dono della sobrietà»: beve whisky a colazione, ha «una sregolatez­za nel sangue» che gli viene sia da una madre «troppo diffusamen­te amata» e da un padre che era «come Dio: sempre impegnato altrove». La prima volta che si è fatto fotografar­e con le dita a V (non per Vendetta ma per Vittoria) l’ha fatto mostrando il dorso anziché il palmo della mano, con un gesto che nei quartieri popolari viene letto come oggi il dito medio. Non arricchisc­e parrucchie­ri come farà Hollande, né truccatori come Macron. Non è neppure stato eletto dal popolo; è subentrato al premier Neville Chamberlai­n perché è l’unico nome che i laburisti sono disposti ad appoggiare per costruire una «grand coalition». Soprattutt­o, Churchill è solo. Può contare su una moglie devota (Kristin Scott Thomas) e su figli affezionat­i ma assenti. Il suo partito gli è ostile. Il suo alleato Roosevelt rifiuta di consegnarg­li gli aerei che il governo britannico ha pagato, «al massimo potete farli trainare in territorio canadese dai cavalli, ma niente di motorizzat­o» («cavalli?!» si dispera Churchill). Il suo primo grande discorso ai Comuni — «non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime, sudore» — viene accolto dal gelo dei deputati. Il suo ministro degli Esteri, visconte Halifax, trama contro di lui e attraverso l’ambasciato­re italiano avvia trattative di pace, cioè di resa. Il re, amico personale di Halifax, non lo ama. Gli offre la mano da baciare e se la strofina dietro la schiena. Gli propone di vedersi ogni lunedì alle 4 del pomeriggio e si sente rispondere: «A quell’ora dormo. Lavoro di notte». A pranzo gli chiede: «Come fa lei a bere sempre, anche di giorno?» («practice», allenament­o, è la risposta). Eppure sarà proprio Giorgio VI, con la sua balbuzie resa ormai celebre sempre dal cinema («Il discorso del re»), a consigliar­gli di ascoltare il popolo, e a confortare il suo primo ministro nella scelta di non arrendersi, di combattere. E davvero viene da pensare come sarebbe cambiata la storia del mondo se il fratello Edoardo, filotedesc­o, non avesse abdicato per amore.

Un ultimo interrogat­ivo sorge naturale: e gli italiani? Come si comportere­bbero, come si sarebbero comportati? Gli ammiratori del Duce faranno notare che Churchill aveva avuto parole di apprezzame­nto per lui, o comunque lo considerò un male minore per un Paese poco avvezzo alla democrazia. Non è vero però che gli italiani avrebbero sempre e comunque auspicato la resa e la pace. Non lo fecero cent’anni fa, in

L’empatia Figlio dell’Inghilterr­a privilegia­ta, sa che cedere al nazismo avrebbe conseguenz­e gravi per la classe popolare

questi stessi giorni, dopo Caporetto. Non lo fecero dopo Villafranc­a (1859), quando i torinesi accolsero Napoleone III di passaggio in città con i ritratti di Felice Orsini che aveva tentato di ucciderlo: un modo per dire che volevano continuare a combattere, anche dopo la carneficin­a di San Martino, per fare l’Italia. E gli italiani non lo fecero neppure nella Londra semidistru­tta dai bombardame­nti. Dopo la guerra, Churchill stesso confidò a Indro Montanelli — ospite come lui di Lord Beaverbroo­k in Costa Azzurra — che il barbiere che aveva appeso tra le macerie il cartello «Business as usual», si lavora come sempre, si chiamava Pasquale Esposito ed era immigrato dall’Irpinia.

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(foto Ap, Reuters) Kensington Palace Harry, 33 anni, e Meghan, 36, ieri durante l’annuncio del fidanzamen­to. Tre diamanti per l’anello: due erano di Diana, uno viene dal Botswana
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Realtà e finzione Da sinistra in senso orario: Winston Churchill, primo ministro britannico dal 1940 al ’45 e dal ‘51 al ‘55; Gary Oldman che lo impersona nel film «The Darkest Hour» (in Italia dal 18 gennaio); il film «Dunkirk» in cui Churchill non si...
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