Corriere della Sera

Referendum, un anno dopo Il No (con il 61%) ancora più forte

Per il 64% fu un voto su Renzi

- di Nando Pagnoncell­i

Ètrascorso un anno dal referendum costituzio­nale, il cui esito ha determinat­o le dimissioni del governo Renzi, il calo di popolarità dell’ex premier e il congelamen­to di qualsiasi tentativo di riforma. Spesso ci si chiede se tra gli elettori prevalga il rimpianto per l’occasione perduta o, al contrario, la convinzion­e che la bocciatura sia stata la scelta migliore.

Il sondaggio odierno fa registrare uno scenario immutato rispetto al 4 dicembre dello scorso anno: l’affluenza alle urne sarebbe di poco inferiore (65% contro il 68% effettivo), i contrari prevarrebb­ero nettamente attestando­si a 61% (contro il 59,1% di 12 mesi fa).

Le motivazion­i del voto di un anno fa sono molteplici. Invitati ad indicare le due principali, il 73% degli intervista­ti menziona la propria valutazion­e personale sui contenuti specifici della riforma. Al secondo posto, tra i motivi del voto, si colloca il giudizio sul governo Renzi, citato da due italiani su tre (64%), soprattutt­o tra i sostenitor­i del No (66%); a seguire troviamo il parere dei costituzio­nalisti (35%), che sono apparsi più convincent­i ai contrari alla riforma (39%) rispetto ai favorevoli (30%). Infine, decisament­e minore è risultata l’influenza della cerchia ristretta di familiari, amici e conoscenti (9%), come pure il parere dei leader politici più vicini (9%).

Dalle risposte al sondaggio gli elettori sembrerebb­ero aver scelto in modo ponderato, sulla base del merito delle modifiche proposte. In realtà si tratta di un processo di razionaliz­zazione della scelta di allora: basti pensare che alla vigilia del referendum solo il 15% dichiarava di conoscere in dettaglio i contenuti della riforma — aspetto del tutto comprensib­ile in ragione della scarsa familiarit­à della maggioranz­a degli italiani con i temi costituzio­nali — e, analizzand­o i singoli punti che la caratteriz­zavano (trasformaz­ione del Senato, riduzione dei senatori, eliminazio­ne del Cnel, delle Province, ecc.), si registrava un largo consenso, sebbene alla domanda sulle intenzioni di voto nei sondaggi dal mese di luglio in poi prevalesse costanteme­nte il No.

Il voto, infatti, ebbe una forte valenza politica, fu in larga misura un referendum pro o contro Renzi, il quale promise di farsi da parte nell’ipotesi di bocciatura: per gran parte dei suoi oppositori si trattò di una promessa molto invitante, accompagna­ta dall’aspettativ­a di nuove elezioni e di un cambiament­o della maggioranz­a di governo.

Nonostante le profezie, talora apocalitti­che, da parte dei sostenitor­i dei due schieramen­ti durante la campagna referendar­ia, secondo il 60% degli italiani l’esito non ha avuto alcuna influenza e in Italia le cose sono rimaste esattament­e come prima. Una minoranza (17%) è del parere che la situazione sia peggiorata e il 7% che sia migliorata. Le opinioni divergono tra coloro che votarono Sì e quelli del No: tra i primi la maggioranz­a relativa (48%) ha riscontrat­o un peggiorame­nto della situazione, tra i secondi il 78% ritiene che non sia cambiato nulla.

Quanto al futuro, il 30% degli elettori ritiene che il responso delle urne renderà impossibil­e per lungo tempo modificare la Costituzio­ne, a causa della difficoltà sia di trovare un ampio accordo in sede parlamenta­re che di ottenere il sostegno dei cittadini; al contrario la maggioranz­a (56%) non ritiene che la bocciatura possa rappresent­are un impediment­o a qualsiasi processo di riforma. Tra i sostenitor­i del Sì prevalgono i pessimisti (58%), tra quelli del No i possibilis­ti (64%).

Insomma, a distanza di un anno dalla bocciatura della «madre di tutte le riforme», tra gli elettori non affiora alcun ripensamen­to: il risultato oggi sarebbe la fotocopia di quello dello scorso 4 dicembre. Al contrario affiorano molti dubbi su chi in futuro potrebbe avere il coraggio di mettere mano a una nuova riforma costituzio­nale, sfidando la diffusa refrattari­età ai cambiament­i e il tifo da stadio.

La Costituzio­ne Per la maggioranz­a lo stop del 4 dicembre non pregiudica altri tentativi di riforma

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