Addio a Leogrande, la denuncia e la speranza di un altro Sud
Scomparso prematuramente, a soli quarant’anni, lo scrittore impegnato a difesa dei più deboli. I libri sui migranti e sulla piaga del caporalato in agricoltura
La notizia della morte di Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista di quarant’anni, arriva come un pugno dritto in faccia a tutti quelli che l’hanno conosciuto. Amici, colleghi e lettori che in questi anni, non lunghissimi ma intensi e densi di articoli, libri e convegni, hanno potuto apprezzare le grandi qualità intellettuali e umane di questo tarantino che aveva le Puglie nel cuore e la testa a Roma, dove praticava l’impegno in maniera concreta, mai retorica. Amante del dialogo perché capace di ascoltare, acuto senza stridori, sagace senza sarcasmo. Occhi vispi e curiosi, il sorriso luminoso sotto la barbetta sorvegliata.
Leogrande è morto domenica scorsa a Roma, a causa di un malore improvviso. Era da poco tornato da un incontro con lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun a Campi Salentina, nel leccese. In programma, altri giri nelle scuole, come ricorda su Facebook Bianca Laterza, per trasmettere ai giovani la sua passione per il reportage e la letteratura, e un incontro con Nicola Lagioia, amico corregionale e direttore della Fiera del libro di Torino, di cui Leogrande era prezioso consulente. Non stava mai fermo, come le sue dita sulla tastiera, e i pensieri in testa.
Tanti e mai banali i libri, già dall’esordio Un mare nascosto (L’ancora del Mediterraneo, 2000), con cui inizia il racconto di una Taranto avanguardia dei paradossi meridionali e italiani; poi Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud (Feltrinelli, 2008), dove svela lo sfruttamento anche dei polacchi, che non sono extracomunitari. Con Il naufragio. Morte nel Mediterraneo (Feltrinelli, 2011) aveva vinto il Premio Ryszard Kapuscinski e il Premio Paolo Volponi. Tra le antologie, Ogni maledetta domenica (minimum fax, 2010), sul calcio, passione tenace, assieme al teatro.
Fitta l’attività giornalistica. A Roma inizia con la rivista di Goffredo Fofi «Lo Straniero», fino a diventarne vicedirettore. Aveva collaborato con «il Riformista», il «Corriere del Mezzogiorno», «Pagina99», «Internazionale», il blog «Minima Moralia» e Radio3, dove ieri è stato ricordato da Lagioia, che al «Corriere della Sera» ne parla così: «Una persona splendida, un compagno di avventure umane e intellettuali, una mente non sostituibile». L’irreparabilità della perdita ricorre negli stati d’animo digitati sui social. Roberto Saviano su Instagram: «La tua vita Ale è insostituibile come la tua intelligenza». La sensazione è di essere tutti «orfani» di un fratello, di un figlio.
Anche il padre, Stefano Leogrande. Su Facebook ha ricordato le radici cattoliche dell’impegno di Alessandro, tra scout e Caritas, poi diventato impegno intellettuale a difesa «degli ultimi e dei ferocemente sfruttati nei più diversi contesti: nell’ambito del caporalato, degli immigrati, dei desaparecidos in Argentina, ovunque ci sia stato un sopruso». Con una costante: la passione per «il lavoro fatto bene, analitico e profondo; tutto alla ricerca della verità». E senza perdere la speranza: «La denuncia era fatta con lo stile dell’annuncio, che, nonostante tutto, un mondo migliore è possibile. Ho sempre percepito, orgogliosamente, che la sua essenza fosse molto migliore della mia. Oggi questo padre si sente orfano», conclude Stefano Leogrande.