Corriere della Sera

Cannavaro eterno difensore «Proteggiam­o gli italiani»

«Troppa esterofili­a nel nostro calcio e poi troppa tattica nei vivai»

- Atalanta Benevento 1 0 Paolo Tomaselli

Fabio Cannavaro, facciamo finta che sia tutto come prima o il flop azzurro ha lasciato il segno?

«Ancora non ci siamo resi conto veramente di quello che è successo. Si è dimesso Tavecchio. Ma è calato il silenzio».

C’è il rischio di perdere un’occasione di rinascita?

«Mi auguro di no. È il momento che qualcuno ci metta la faccia e decida di fare nuove regole. La svolta può partire solo da questo».

Dire Italia nel calcio cosa significa nel mondo?

«Abbiamo vinto 4 Mondiali:

siamo rispettati. A volte diamo poca importanza a noi stessi e guardiamo sempre gli altri. Ma noi per anni siamo stati un punto di riferiment­o».

C’è troppa esterofili­a?

«Sì, in campo e fuori».

Quanto dovrà passare perché un italiano rivinca il Pallone d’Oro dopo di lei?

«Mi auguro non tanto. Ma ci mancano i Totti, i Del Piero, i Baggio. Insigne non si è ancora espresso a livello internazio­nale».

Dal 2006 a oggi c’è stata troppa presunzion­e?

«Vincere ci ha fatto più male che bene. Perché si è smesso di curare i vivai. L’unico vero modello da cui imparare è quello tedesco».

L’errore da correggere?

«Vanno insegnati i fondamenta­li della tecnica, della coordinazi­one, dell’uno contro uno. Invece sento parlare di linea a 4 o di fuorigioco: gli allenatori non devono sfogare la loro repression­e sui più giovani. Nella semifinale del Mondiale ho fatto un anticipo da cui è partita un’azione da gol grazie all’insegnamen­to di uno dei miei primi allenatori. Oggi vedo difensori che fanno rimbalzare la palla o non sanno saltare con un piede...».

Gli italiani vanno protetti?

«Sì, con le quote. In questo momento bisogna essere egoisti e tutelare lo sviluppo dei nostri giocatori. Ben vengano gli stranieri che fanno la differenza, ma a pari qualità preferiamo l’italiano. Non è razzismo, ma a livello giovanile i nostri ragazzi crescono più tardi di altri».

Basta un grande nome come Ancelotti c.t.?

«A Napoli si dice: è come mettere le pezze a colori. Carlo è perfetto, ma mascherere­bbe il problema: bisogna prima cambiare le regole e i formati dei campionati. Non ci sono tutti questi giocatori per sostenere 42 squadre di A e B».

L’Italia chiama: lei che fa?

«Ho firmato per 5 anni, in Cina posso crescere e ci sono tanti molto più bravi di me. Abbiamo un patrimonio di ex calciatori enorme, come Maldini o Baggio. Ma li nascondiam­o».

Per Buffon vede un futuro in azzurro?

«Mettiamolo come presidente Figc. Lui e Pirlo li vedo dietro a una scrivania».

Lei che allenatore è?

«Mi piace vincere. Ma giocando ovunque a viso aperto».

Venerdì c’è Napoli-Juve: occasione unica per Sarri?

«Sì, perché avere la Juve a 7 punti sarebbe un bel vantaggio. Ma non è solo una corsa a due. L’Inter zitta zitta si sta inserendo: non giocare le coppe la aiuta. Come fu per la prima Juve di Conte».

Il Napoli cambia poco. La Juve molto. Forse troppo?

«La rosa della Juve è pazzesca, una delle più forti degli ultimi anni. Ma cambiare sempre per trovare la soluzione migliore può essere un problema. Il Napoli dopo 3 anni gioca a memoria».

Quindi Sarri è favorito per lo scudetto?

«Per la rosa che ha, resta Allegri

il favorito. Ma il Napoli sta capendo come vincere le partite sporche, quelle in cui non brilli, come a Udine».

La Juve che difficoltà ha?

«Perdere Bonucci e avere Chiellini con qualche problema, un po’ di insicurezz­a l’ha data. Con il rientro di Howedes le cose migliorera­nno.. Alla fine vincerà sempre la difesa migliore».

Da collega cosa prenderebb­e di Sarri?

«Il suo concetto di gioco, che magari nelle serie inferiori faticava a esprimersi, ma che con giocatori di grande qualità tecnica fa la differenza».

Da Allegri?

«La capacità di trovare la soluzione giusta nei momenti di difficoltà».

Da Spalletti?

«Mi piace come trasmette il suo concetto ai giocatori, lo porta avanti negli allenament­i e lo fa in partita».

Con un Icardi in più.

«Con una palla, fa due gol. È un attaccante di quelli che avevamo noi italiani una volta».

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