Corriere della Sera

Il piano cinese per un’invasione

Pechino vuole evitare l’escalation, ma studia anche un intervento per mettere al sicuro le armi nucleari, a 100 km dal confine

- Di Guido Olimpio e Guido Santevecch­i

Il Ponte dell’Amicizia che collega la Cina alla Nord Corea attraverso il fiume Yalu è chiuso dalla settimana scorsa. Per lavori di manutenzio­ne dicono a Pechino. La 78esima unità dell’esercito cinese, responsabi­le per il confine settentrio­nale, ha appena compiuto esercitazi­oni a fuoco. Normale routine, dice il comando. Ma sono molti i segnali di una crescente preoccupaz­ione e insofferen­za di Xi Jinping per le mosse di Pyongyang. Negli ambienti accademici circolano voci sulla necessità di preparare piani in caso di guerra, soprattutt­o perché l’85% degli impianti nucleari e missilisti­ci nordcorean­i sono a non più di 100 chilometri dal confine cinese.

C’è stata un’accelerazi­one nello studio delle contromisu­re militari a Pechino. Pressato da Donald Trump, che minaccia sempre l’arma della ritorsione commercial­e, Xi Jinping ha dovuto accettare di applicare con durezza le sanzioni nei confronti della Nord Corea. A maggio, stranament­e, la telecamera piazzata su un missile lanciato dai nordcorean­i verso il Mar del Giappone ha ripreso a lungo la direzione opposta: il territorio cinese. Poi un alto funzionari­o di Pyongyang avrebbe lasciato trapelare minacce all’indirizzo della Cina.

Sta di fatto che, pochi giorni dopo, forze di difesa aerea cinesi hanno compiuto manovre antimissil­e nel Golfo di Bohai, la zona più occidental­e del Mar Giallo che fronteggia la penisola coreana.

Dice al Corriere Shi Yinhong, che dirige il Centro di Studi americani all’Università Renmin: «Pechino si trova in una situazione senza precedenti, perché negli ultimi mesi, sotto la pressione degli Stati Uniti ha votato e applicato tutte le sanzioni decise dall’Onu; ha bloccato l’importazio­ne di minerali nordcorean­i, non accetta più lavoratori nordcorean­i, ha dimezzato le forniture di petrolio. Che cosa posiamo fare ancora? Chiudere completame­nte il rubinetto del petrolio sarebbe l’ultima mossa a disposizio­ne e presentere­bbe due rischi: 1) Non avremmo altri mezzi di persuasion­e pacifica. 2) Così Pyongyang diventereb­be nemica in maniera duratura».

Torniamo sulle esercitazi­oni anti missile nel Golfo di Bohai. Ci spiega Yu Yingli, ricercatri­ce dello Shanghai Institutes for Internatio­nal Studies: «Sono un segno di preoccupaz­ione necessaria, perché la Cina è così vicina alla Nord Corea che non servono missili a lungo raggio per allarmarla, bastano quelli a medio, già ben sviluppati da Pyongyang. Come si dice in cinese “prima della pioggia occorre prepararsi”: anche se per anni abbiamo parlato di alleanza fraterna è evidente che oggi dobbiamo prepararci a ogni evenienza».

Il South China Morning Post, giornale di Hong Kong di cui è proprietar­io Jack Ma in autunno ha pubblicato un’opinione con questo titolo: «La Cina dovrebbe invadere la Nord Corea come gli Stati Uniti fecero con Grenada». Era il 1983 e la Casa Bianca di Reagan si convinse che la piccola isola sarebbe stata trasformat­a in base da sovietici e cubani: ordinò l’operazione «Urgent Fury» e la occupò militarmen­te. L’autore dell’articolo sull’intervento militare cinese è un americano, ma è della Repubblica Popolare e molto ben introdotto il professor Jia Qingguo dell’Università di Pechino, che ha scritto esplicitam­ente sulla necola cessità che qualcuno prenda il controllo dell’arsenale nordcorean­o in caso di crisi gravissima. E, pur non parlando apertament­e di questa soluzione, il governo cinese avrebbe cominciato a muoversi in questo senso: nella zona di Ji’an, pic- città di confine, sono stati osservati imponenti lavori per la costruzion­e di un’autostrada a sei corsie, che potrebbe essere un corridoio per spostare rapidament­e le truppe verso la Nord Corea. Qualcuno ipotizza anche un intervento dimostrati­vo: 30 mila soldati cinesi da mandare in Nord Corea per bilanciare la presenza di 28 mila soldati americani a Sud e rassicurar­e Kim.

L’opzione è osservata anche da Washington che, in questi mesi, ha puntato sulla collaboraz­ione attiva di Pechino. Con risultati alterni. Evans Revere della Brookings Institutio­n ha sottolinea­to in un’intervista alla Voa il forte nazionalis­mo nordcorean­o, uno scudo creato non solo verso americani e sudisti, ma anche nei confronti di Cina e Russia. Una posizione non certo recente. Kim Ilsung — il nonno e modello dell’attuale leader — condusse operazioni per liberarsi di esponenti filorussi e filocinesi all’interno della nomenklatu­ra. Ha «giocato» — secondo Revere — tra queste due componenti. Uno studio ha rammentato come la diffidenza nordcorean­a sia cresciuta con il crollo dell’Urss e il dialogo tra Pechino e Seul. A Pyongyang si sono sentiti «isolati» e hanno deciso di dotarsi di un grande arsenale.

Giapponesi e americani non escludono che il giovane Maresciall­o voglia aggiungere precauzion­i in chiave interna mentre alti dirigenti perdono la poltrona o la riconquist­ano dopo un periodo di «purgatorio». Altri hanno pagato invece con la vita: basti ricordare l’eliminazio­ne fisica dello zio Jang Song-thaek e del fratellast­ro Kim Jong-nam, sospettati di essere uno strumento di Pechino.

Se la Corea del Nord completa lo sviluppo di un missile balistico in grado di raggiunger­e un altro continente, la situazione può finire fuori controllo Moon Jae-in presidente della Corea del Sud

La Cina vuole mantenere i contatti e insieme spingere la questione nucleare verso una risoluzion­e pacifica attraverso il dialogo e i negoziati Xi Jinping presidente cinese

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