Corriere della Sera

L’ex regista in armi che fece bombardare il ponte di Mostar per cancellare la Storia

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Capljina, un posto di crociati croati. Perché la cosa che più irritava Praljak era d’essere considerat­o lui l’ideatore di quello scempio, mentre il vero ideologo Franjo Tudjman — il padre nobile della Croazia indipenden­te — aveva scampato il processo all’Aia per pulizie etniche poco diverse da quelle del macellaio Milosevic, e alla fine era riumano a morire nel suo letto, ancora oggi venerato ed effigiato.

Come mai Praljak si giocò un posto nella storia nera del ‘900 con quel bombardame­n- to insensato? Il ponte non era un obbiettivo militare, troppo stretto perché potesse passarci qualcosa di diverso da una persona. Era il capolavoro a schiena d’asino di Soliscito il Magnifico, il mecenate delle mura di Gerusalemm­e. Era il lavoro geniale a un solo arco dell’architetto Hajruddin, il migliore della corte ottomana, così stupito del fatto che lo Stari Most potesse reggere da andarsi a nascondere in un fienile, l’anno 1566 dell’inaugurazi­one, perché il Sultano aveva promesso di tagliargli la testa se quell’azzardo di gravità fosse crollato. Perché, allora? Quel crollo del ’93 fu un simbolo: servì a dire che l’epoca dell’insieme era finita, Tito addio, la Jugoslavia multietnic­a abbatteva i ponti e tirava su muri.

Come la Serbia, forse anche peggio, la Croazia oggi europea non ha fatto molti conti con quel passato. Tanto che Praljak, come il Mladic condannato la settimana scorsa, è considerat­o in patria un eroe. Inutile ricostruir­e il Ponte, come han fatto italiani e turchi, francesi e olandesi nel 2004, proprio nei mesi in cui il generale veniva finalmente arrestato. Inutile mettere sotto protezione Unesco un fac-simile di monumento sulla Neretva, appiccicat­o come la pace che divide bosniaci ed erzegovesi. Il ponte senz’anima che s’ammira oggi a Mostar è il miglior bottino di Praljak.

Che in una vita precedente aveva fatto anche l’ingegnere e poi il regista, «Il ritorno di Katarina Kozul» è l’unica opera che si citi, neorealism­o croato anni 80 sulle vedove che emigravano in Germania. La cicuta dell’Aia è stata la sua messinscen­a finale. Più che il viale del tramonto, un red carpet per le tenebre.

Preferisco un dito della mano di un soldato croato, a qualsiasi vecchio ponte Sono pronto a distrugger­ne altri cento

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