Corriere della Sera

QUANDO IL VELENO È LA VIA DI FUGA DEGLI SCONFITTI

- Di Emanuele Trevi (sopra il dipinto di Reginald Arthur)

Il veleno letale evoca ricordi e immaginazi­oni tra i più disparati, tra memoria storica e immaginazi­one letteraria, fiaba e cronaca giudiziari­a. È una minaccia, ma anche la più rapida ed efficace via di fuga. È un’ipotesi storica che si affaccia quando si riaprono i dossier di tante morti illustri, archiviate con fretta eccessiva. È uno degli accessori tipici del corredo delle spie, negli anni d’oro della Guerra Fredda: un finto dente pieno di cianuro, da ingoiare quando tutto è perduto, evitando così i rischi di un interrogat­orio. In teatro, l’impiego più geniale di una boccetta di veleno è probabilme­nte quella del giovane Shakespear­e, in quella commedia che all’improvviso si trasforma in tragedia che è Romeo e Giulietta. Perché un finto veleno, quando la sventura interviene nei fatti umani, può essere più micidiale di uno vero.

Tra le morti per veleno della storia del romanzo, la più straziante la scrisse Flaubert, nelle ultime pagine di Madame Bovary: una fine lenta e dolorosa, sproporzio­nata alle colpe dell’eroina. Negli stessi anni, in una delle poesie erotiche più celebri dei Fiori del male, Baudelaire trovava il veleno più letale nella «saliva che morde» dell’amata, più potente del vino e dell’oppio. Metafora o realtà, il veleno è un compagno costante delle vicende umane.

Non stupisce se quello del generale croato Slobodan Praljak è un gesto che ci turba per il suo sapore antico, da repertorio tragico, capace di evocare tutto ciò che, nell’esperienza umana del male e del dolore, è imperituro, come certe malattie fulminanti, o le catastrofi naturali. A metà degli anni Novanta fu proprio la guerra civile nella ex Jugoslavia a ricordarci, con la sua oscena brutalità, che gran parte dei progressi del genere umano, a esaminarli bene, non sono che leggere mutazioni del costume, smottament­i di superficie. Tutto ciò che di atroce e indicibile accadde in Bosnia, era ancora più atroce e indicibile perché sembrava uscire direttamen­te da un capitolo di un libro di storia o da un romanzo del passato. L’assedio di Sarajevo polverizza­va, per la sua lunghezza, il terribile record di Leningrado. La gente moriva di fame e di freddo come durante la Guerra dei Trent’Anni. L’inverno stesso diventava un importante fattore strategico, come durante le campagne napoleonic­he.

Ma il tragico andava a braccetto col pacchiano. I discorsi dei criminali di guerra, i vessilli, i giuramenti, i miracoli: era un massacro che assomiglia­va in maniera disgustosa all’involontar­ia parodia di un massacro. Mai la retori- ca del suolo e della stirpe aveva rivelato il suo volto criminale in maniera così evidente. I signori della guerra, anticipand­o i fasti medievali del Califfato, nutrivano un culto, insieme osceno e ridicolo, per tutti quegli atteggiame­nti da sagra di paese che potessero richiamare le virtù del passato. È su questo sfondo che la boccetta di veleno ingerita da Praljak di fronte alla corte dell’Aia acquista una sua terribile coerenza. Praljak era un uomo notevole: un ingegnere, ma anche un regista, diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica di Zagabria. Ed ha scelto di morire evocando un archetipo memorabile. Ma gli archetipi sono complessi, e pericolosi da maneggiare. Significan­o sempre qualcosa di più di quello che, in una data occasione, vorremmo che significas­sero.

In ogni imitazione di un archetipo, si afferma qualcosa e spunta l’ombra del suo contrario. Ebbene, il mondo antico ci ha consegnato i fantasmi di due grandi avvelenati: Socrate e Cleopatra. La storia del primo è quella di chi accetta di bere la cicuta potendo sempre farne a meno, percorrend­o lietamente il sentiero della sua sorte proprio perché fino all’ultimo esiste una via di scampo. Nella fine di Cleopatra, così come ce la racconta Plutarco, il veleno ha tutt’altro significat­o. Il celebre aspide è una via di scampo, una sfida, l’estrema affermazio­ne di una volontà che non intende essere giudicata da altri che da se stessa. Non spetta a me giudicare come e quanto il generale Praljak abbia meditato su questa spinosa contraddiz­ione. Sono portato a vedere un barlume di dignità in ogni atto di coraggio, per quanto disperato. Ma non posso evitare di pensare che il filosofo ateniese e la regina egiziana rappresent­ino due possibilit­à opposte e inconcilia­bili dell’agire umano. Il veleno di Socrate si è trasformat­o nella linfa di un’intera civiltà. Possiamo dire che ha cambiato il mondo. Proprio il contrario di quello di Cleopatra, che col mondo ha regolato solo una questione privata, un rapporto di forze.

Uscita di scena Quello di Praljak è un gesto che ci turba per il suo sapore antico, da repertorio tragico

 ??  ?? L’addio di Cleopatra Dopo il suicidio di Antonio, che non voleva essere fatto prigionier­o da Ottaviano, Cleopatra si rinchiuse nel mausoleo dei Tolomei ad Alessandri­a e, secondo la versione classica di Plutarco, si uccise facendosi mordere da un aspide
L’addio di Cleopatra Dopo il suicidio di Antonio, che non voleva essere fatto prigionier­o da Ottaviano, Cleopatra si rinchiuse nel mausoleo dei Tolomei ad Alessandri­a e, secondo la versione classica di Plutarco, si uccise facendosi mordere da un aspide
 ??  ?? Göring Il gerarca nazista si tolse la vita con una capsula di cianuro dopo la condanna al processo di Norimberga, che lo condannò a morte
Göring Il gerarca nazista si tolse la vita con una capsula di cianuro dopo la condanna al processo di Norimberga, che lo condannò a morte
 ??  ?? Madame Bovary L’eroina del romanzo di Gustave Flaubert si suicida con l’arsenico dopo le delusioni sentimen tali
Madame Bovary L’eroina del romanzo di Gustave Flaubert si suicida con l’arsenico dopo le delusioni sentimen tali

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