SEDICI ANNI DOPO LA VERITÀ E IL VUOTO
In questi 16 anni o poco più trascorsi da quel 19 novembre 2001 e da quella gola afghana, abbiamo cercato di tenere Maria Grazia Cutuli tra noi, in mezzo a noi. Abbiamo provato a far sì che la memoria della sua faccia — della sua voglia di andare «dove la terra brucia», come diceva un po’ scherzando e un po’ no — non diventasse opaca, non si disperdesse tra le righe. Per questo la sentenza è stata un’emozione forte, ieri, per tutti. Così come è stato, ancora una volta, doloroso ascoltare le parole della pm Nadia Plastina quando in aula ha ripercorso le ore prima e dopo l’esecuzione a mitragliate che lasciò il corpo di quattro reporter sul ciglio della strada verso Kabul. Accanto a Maria Grazia c’erano Julio Fuentes, di El Mundo, l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari, dell’agenzia Reuters.
La sentenza della prima corte d’assise di Roma per Mamur Gol Feiz e Zar Jan (24 anni per concorso in omicidio e concorso in rapina) non riconsegna la nostra compagna di lavoro all’appartamento milanese che aveva lasciato in ottobre per il Medio Oriente e che in parte aveva arredato con pezzi acquistati durante precedenti spedizioni in Afghanistan — il tappeto, le sedie gemelle rasoterra, gli specchi. Non riconsegna la persona che amavamo al tempo che non ha avuto. Il vuoto resta, nel cuore e nella testa. Restano le domande che ci facevamo, ancora trentenni: restano sospesi i dubbi e i progetti di un’età che sembrava offrirci tutto per possibilità.
Tuttavia la condanna dimostra alla famiglia, alle sorelle e al fratello, che lo Stato Italiano c’è stato. C’è stato e nonostante lo sgomento di alcune fasi di rinvii e ritardi - ha infine fatto la sua parte affinché non sparissero le tracce di un assassinio avvenuto in un’epoca che oggi sembra lontana, quasi irreale, mentre l’Afghanistan liberato dai talebani in quei giorni concitati del 2001 è tornato nel caos. O forse non ne è mai uscito veramente. Mamur Gol Feiz e Zar Jan, di origine pashtun, sono da tempo in una cella afghana dove stanno scontando pene a 16 e 18 anni. Un terzo uomo, Reza Kahn, fu giustiziato nel 2007 non solo per la morte dei quattro inviati.
Noi continueremo a tenerci stretti al valore del lavoro di una giornalista che desiderava raccontare le storie, raccogliere le notizie, attraversare le retrovie dove le notizie prendono forma: Merigrace, che spingeva quel suo sguardo assieme incerto e coraggioso lungo i confini immaginando — sono sicura — di poterli attraversare tutti, prima o poi.