Corriere della Sera

La scienza uccide il mitico Yeti

La ricerca: il dna trovato su nove reperti appartiene a un cane e a tre specie di orso Messner esulta: io lo dicevo da sempre Eppure nel nostro immaginari­o resterà

- di Tullio Avoledo

Ogni progresso scientific­o comporta necessaria­mente delle perdite. Ma lo studio appena pubblicato sulla prestigios­a rivista Proceeding­s of the Royal Society B da un gruppo internazio­nale di ricerca coordinato dalla biologa Charlotte Lindqvist dell’Università di Buffalo, negli Stati Uniti, ha fatto una vittima illustre, che da secoli occupava uno spazio nel nostro immaginari­o collettivo.

Il test del dna applicato a nove reperti (ossa, denti, pelle ed escrementi) ritrovati tra Nepal e Tibet e tradiziona­lmente attribuiti allo Yeti, ha provato che questi appartengo­no in realtà a un cane, in un caso, e per il resto a esemplari di orsi di tre diverse specie a rischio di estinzione: orso tibetano, orso bruno tibetano e orso bruno himalayano. Per scienziati e alpinisti la scoperta non rappresent­a una sorpresa. «L’ho sempre detto e scritto che lo yeti è in realtà un orso», ha commentato la notizia Reinhold Messner (che nel 1986 aveva annunciato un avvistamen­to della mitica creatura), aggiungend­o però che «la leggenda dello Yeti va oltre la scienza, perché è l’immagine che la gente del posto vuole avere di questo animale. Si tratta del corrispett­ivo zoologico dell’immaginazi­one popolare». La storia dello Yeti è costellata di errori d’interpreta­zione, primo fra tutti quello che gli ha attribuito il nome di «abominevol­e uomo delle nevi», termine derivato da una traduzione giornalist­ica sbagliata dell’espression­e nepalese Metoh Kangmi (uomo-orso delle nevi). La parola Yeti deriva invece, più prosaicame­nte, da yeh-teh: «quella cosa là», espression­e con cui gli sherpa indicavano la mitica creatura, i cui primi avvistamen­ti risalgono a fine Ottocento e che avrebbe parentele sparse in tutto il mondo: dall’Alma cinese al Chuchuna russo, fino al più famoso Sasquatch o Bigfoot delle Montagne Rocciose americane.

Le prime impronte attribuite allo Yeti vennero trovate nel 1889 dal maggiore inglese L.A. Waddell a più di 5.000 metri di quota, e notizie della creatura risalivano già a qualche decennio prima, ma la sua definitiva «scoperta» da parte dell’Occidente, così come l’errata attribuzio­ne del termine «abominevol­e», datano al 1921, con l’avvistamen­to da parte di un altro ufficiale britannico, il tenente colonnello C.K. Howard-Bury, che aprì una serie di altri avvistamen­ti che consacraro­no lo Yeti alla fama mondiale. Nei quasi cento anni passati da allora non si contano gli articoli pubblicati sullo Yeti. A mano a mano che la creatura acquistava notorietà venivano scoperti, in villaggi e monasteri nepalesi, presunti suoi reperti, fra cui quelli sottoposti oggi alla prova del dna.

Reperti e avvistamen­ti consolidav­ano il mito dello Yeti, protagonis­ta nel corso degli anni di una dozzina tra film e cartoni animati e di numerose avventure a fumetti, tra cui una di Martin Mystére in cui si ipotizza un’origine extraterre­stre della creatura. Il più alto risultato artistico rimane comunque il romanzo del 2013 «The Abominable» di Dan Simmons (pubblicato in Italia da Fabbri col titolo «Everest – Alba di sangue)», in cui l’ombra sinistra dello Yeti minaccia una scalata al Monte Everest nel 1924.

Insomma, ha ragione Messner. Lo Yeti può essere stato cancellato dalle pendici dell’Himalaya ma si è conquistat­o uno spazio vitale nella nostra immaginazi­one, occupando una nicchia ecologica precisa: quella della creatura libera e selvaggia che mantiene il mistero di quelle cime vertiginos­e che altrimenti diventereb­bero solo l’ennesima località turistica, anche se ancora per pochi, del nostro pianeta. Lo Yeti è morto, lunga vita allo Yeti.

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 ?? (foto Epa) ?? L’impronta Un’immagine dello Yeti e, sopra, quella di un’impronta sulla neve che venne attribuita a uno Yeti. La fotografia fu scattata dall’alpinista ed esplorator­e britannico Eric Shipton nel 1951 a oltre 5 mila metri sul Menlunq Glacier, regione...
(foto Epa) L’impronta Un’immagine dello Yeti e, sopra, quella di un’impronta sulla neve che venne attribuita a uno Yeti. La fotografia fu scattata dall’alpinista ed esplorator­e britannico Eric Shipton nel 1951 a oltre 5 mila metri sul Menlunq Glacier, regione...

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