Corriere della Sera

L’abolizione del semaforo

- di Massimo Gramellini

Il comandante dei vigili Alfredo Marraffino si è accorto che le due piazze intorno alla Stazione Centrale di Napoli avevano beneficiat­o dell’oscurament­o momentaneo dei semafori causato da un cortocircu­ito. Gli ingorghi più pesanti si erano sciolti in un’allegra tarantella, dove tutte le auto si muovevano magicament­e senza toccarsi. Così ha scritto all’assessore per chiedere che quei semafori venissero spenti dalle 7 alle 19. Il verde confonde le idee e il rosso rimane solo un suggerimen­to, innescando incastri di parafanghi e liti per le precedenze tra vicini di lamiera. Mentre il salomonico giallo lampeggian­te diventa un «liberi tutti» che finisce persino per responsabi­lizzare qualcuno.

Il pragmatism­o del comandante infastidir­à i puristi, non coloro che hanno rinunciato all’idea che Napoli, e l’Italia in genere, possano trovare la loro fonte ispiratric­e in Scandinavi­a. Un famoso magistrato dichiarò a malincuore, ma non a torto, che il giorno in cui gli italiani si fossero messi di colpo a osservare tutte le regole, il Paese si sarebbe bloccato.

Il cittadino combatte contro la rigidità di troppe burocrazie, tra cui quella semaforica è ancora una delle meno arbitrarie. Presa dalla smania di regolare il traffico, la politica si ostina ad aggiungere nuove regole a quelle vecchie. Il risultato è l’ingorgo esistenzia­le. In Italia il traffico è meglio lasciarlo scorrere: a regolarsi ci penserà da solo. L’importante, e il difficile, è che dietro l’angolo ci sia un vigile di buon senso.

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