Tra cielo e mare, le armonie «piatte» di Piero Guccione
Nel 1972 Leonardo Sciascia di Piero Guccione (1935), e dei suoi panorami sospesi tra cielo e mare, aveva scritto: «Il primo incontro con la pittura di Guccione produce l’impressione di una totale platitude. E abituati come siamo a una pittura che vuole essere altro (e magari tutto, tranne che pittura), un po’ stentiamo a riconoscerla, a riconquistare la nozione... Ma la bella pittura deve essere piatta, come voleva Degas (che la faceva); e la piattezza è divina — cioè peculiare alla pittura, essenza, necessità, ineffabilità — come commentava Valéry (che se ne intendeva)».
A Guccione il Museo Diocesano di Caltagirone (Catania) dedica ora, nella sua Quadreria, la mostra Armonia dell’infinito (inaugurazione domenica 3 dicembre, apertura al pubblico, lunedì 4, fino al 6 maggio), curata da Giuseppe Iannaccone e Fabio Raimondi, direttore artistico del museo, con il contributo della Fondazione Pio Alferano e Virginia Ippolito. Una trentina di opere (con qualche inedito) per raccontarne il percorso artistico tra il 1962 e il 2014. Passando dai primi dipinti come Omaggio a F. Bacon, Giardino su muro giallo e A Lenin, alle rondini e alle bimbe bionde ai lavori più maturi come Paesaggio di Punta Corvo prima del tramonto o Dopo il tramonto dove «più che il mare nella sua naturalità è l’idea del mare che credo di proseguire con tutta la carica emozionale che promuove nelle sue infinite variazioni». E di fatto, nelle sue tele, cielo e mare si incontrano, quasi si fondono, ma non si confondono.
Nato a Scicli, formatosi in Sicilia, Guccione si trasferisce a Roma nel 1954 dove completa gli studi entrando in contatto con Guttuso che lo avrebbe influenzato nelle sue inclinazioni realiste che poi saranno sempre più attente alla lezione di Francis Bacon. Dal 1962 al 1964 fa parte di quel gruppo «Il pro e il contro» (con Attardi e Vespignani) definito dai critici «un punto di riferimento della pittura realista». Ma rimanendo, sempre, sospeso tra il «suo» cielo e il «suo» mare.