Corriere della Sera

Ora Visco va in contropied­e Nessun segreto sulle carte

I rinvii del leader dem sulle venete che costarono la liquidazio­ne

- di Federico Fubini

L’ultimo dei desideri di qualunque banca centrale indipenden­te dalla politica è quello di decidere una campagna elettorale. Né a favore, né contro nessuno. Né con le azioni, né con le dichiarazi­oni. Si spiega probabilme­nte così il silenzio della Banca d’Italia al di fuori della commission­e parlamenta­re d’inchiesta, mentre su di essa continuano gli attacchi.

Questo non significa che, dentro la commission­e parlamenta­re, la Banca d’Italia non punti a fare chiarezza su ciò che è davvero successo attorno al crac di Banca Etruria. Sembra molto probabile che il governator­e Ignazio Visco permetta al capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, di fornire tutti i documenti rilevanti su quel caso. Anche quelli finora coperti per legge da varie forme di segreto. L’audizione è attesa per il 12 dicembre e del resto quel che ne emerge è già noto: il commissari­amento di Etruria, deciso nel corso di un’ispezione fra fine 2014 e inizio 2015, è sempliceme­nte il risultato dello stato della banca. Il patrimonio era molto sotto ai minimi di legge, i crediti in default quasi metà del portafogli­o prestiti. Permettere a un’azienda del genere di continuare a operare con gli amministra­tori che l’avevano portata a quel punto sarebbe stata, quella sì, un’omissione.

Diversa è invece la vicenda della Popolare di Vicenza, l’istituto che nel 2014 aveva tentato un’offerta (respinta) per comprare Etruria. Su quell’istituto, lo stesso Barbagallo ha riconosciu­to in commission­e parlamenta­re che la Banca d’Italia ha messo a fuoco vari problemi in ritardo. Ma i rinvii che ne hanno segnato il destino molto probabilme­nte non si devono alla vigilanza. È infatti l’inizio dell’estate del 2016 quando a Bruxelles matura una svolta che mesi prima sembrava impossibil­e: la Commission­e Ue ammorbidis­ce il suo approccio. Fino ad allora, l’unica risposta prevista era stata la cosiddetta «risoluzion­e». Equivaleva a pilotare il fallimento di una banca in dissesto che riceve un sostegno pubblico, con sforbiciat­a sulle obbligazio­ni ordinarie (non solo su quelle subordinat­e) e, se necessario, anche sui depositi sopra i 100 mila euro.

Poi però l’impatto della risoluzion­e di Banca Etruria, Marche, Carife e CariChieti induce un ripensamen­to anche a Bruxelles. La Commission­e apre alle «ricapitali­zzazioni precausull­e zionali», come quella che sarebbe stata applicata in dicembre 2016 al Monte dei Paschi dal governo di Paolo Gentiloni: i bond subordinat­i vengono convertiti in azioni, senza «risoluzion­e». Ma in quell’estate 2016 fra gli istituti dei quali si valuta lo stesso approccio ci sono anche Popolare Vicenza e Veneto Banca. Bruxelles apre a una «ricapitali­zzazione precauzion­ale» anche per loro. La strada, in quel momento, è aperta.

Non verrà mai percorsa. Il governo di Matteo Renzi, concentrat­o sul referendum costituzio­nale che poi avrebbe perso, non vuole più impegnarsi banche dopo il caso Etruria. Nessuno allora capisce che quella scelta, un anno più tardi, sarebbe costata la liquidazio­ne coatta amministra­tiva di Vicenza e Veneto. A metà del 2016 il fallimento era ancora evitabile, ma il governo prese tempo. A metà del 2017 non lo è più, perché intanto i due istituti veneti avevano perso un terzo dei proventi, molti depositi e patrimonio al punto da rendere la «precauzion­ale» impossibil­e: serviva prima un aumento di capitale sul mercato, che nessuno era disposto a coprire.

Per una strana inversione logica, oggi nessuno di questi argomenti sfiora la commission­e parlamenta­re d’inchiesta sulle banche. L’Italia in realtà non è il solo Paese dove un esercizio simile si sia svolto dopo la Grande recessione. Lo hanno affrontato il parlamento di Londra e il Congresso di Washington. In questi giorni si prepara a lanciare una commission­e sulle banche anche il parlamento australian­o. Ma in nessuno di questi esempi gli errori dei banchieri, responsabi­li primi dei dissesti, e le sottovalut­azioni dei governi, responsabi­li delle regole e delle scelte sui salvataggi, sono rimasti sullo sfondo come in Italia. In nessuna democrazia un partito di maggioranz­a ha mai cercato di trasformar­e un’inchiesta sul credito in una caccia grossa alle istituzion­i indipenden­ti di un Paese.

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