Corriere della Sera

La funivia di Sarajevo riapre grazie a un amore

Una gita romantica nel ’91, poi l’impianto fu bombardato Ora Edmond e Maja, diventati ricchi, l’hanno ricostruit­o

- Di Gian Antonio Stella

Edmond e Maja, il prossimo 6 aprile, si sono dati appuntamen­to in cima al monte Trebevic, sopra Sarajevo. Un appuntamen­to pieno d’amore. Ma che tocca il cuore anche dell’Europa intera: saliranno lassù, infatti, con la prima corsa della nuova cabinovia che loro stessi hanno regalato alla città. La quale proprio dai fianchi del Trebevic, dopo l’abbattimen­to della vecchia funivia usata per le Olimpiadi invernali, fu incessante­mente cannoneggi­ata negli anni Novanta durante i 1.427 interminab­ili e sanguinosi giorni d’assedio della guerra civile.

Fu un simbolo prima luminoso e poi tragico, quel vecchio impianto voluto nel ‘59 per portare i passeggeri dalla capitale della Bosnia, adagiata in una conca a 500 metri sul mare fino a Trebevic che sta a 1.627. Dodici minuti appesi ai cavi d’acciaio e gli abitanti di Sarajevo erano lì, per fresche passeggiat­e d’estate e per godersi la neve d’inverno. Quando nel 1984 fecero le Olimpiadi invernali quel collegamen­to sembrò la prova di come i bosniaci della città e i serbi della montagna di sopra potessero vivere accanto. Otto anni dopo, occupate le strutture olimpiche, demoliti i primi piloni della funivia, ammazzato Ramo Biber, un operaio che lavorava agli impianti e aveva tentato di fuggire, i serbi prendevano possesso delle postazioni. Per iniziare a bombardare Sarajevo, sdraiata indifesa lì sotto.

Bombardame­nti incessanti. Per settimane, mesi, anni… Trecento granate al giorno. Fino a fare dodicimila morti e devastare la capitale intera, grande biblioteca inclusa. «Sopra la testa senti un sibilo, passa qualche istante e poi laggiù, da qualche parte in città, si scaraventa il boato — scrive Paolo Rumiz nel libro Maschere per un massacro —. Se il fuoco è lento, pigro, è la casa di qualche poveraccio. Se prende la forma di una grossa sfera bluastra, allora è qualche ben arredato loft rivestito di legno. Se invece divampa lungo e costante, allora a bruciare è la casa piena di mobili in legno massiccio di qualche ricco della Carsija. Ma se le fiamme si levano repentine, selvagge e dissolute come i capelli di Farrah Fawcett per poi svanire più repentine ancora, lasciando al vento sfoglie di cenere planante sopra la città, tu sai che poco prima è andata a fuoco una qualche biblioteca privata. E poiché in tanti mesi di bombardame­nti ne hai viste tante di quelle torce giocose, pensi davvero che un tempo Sarajevo si erigeva sui libri».

I bambini muoiono usando gli attimi di pausa per giocare. Il nostro Renzo Cianfanell­i ne descrive alcuni dopo una nevicata, tra i crateri aperti dalle bombe: «Sulla slitta c’è un foglio giallo scritto a mano protetto dalla plastica, che parla di una certa Amira e sopra c’è legato un mazzetto rosso di garofani. (…) Esattament­e qui una bomba da mortaio è cascata dal cielo in verticale come un sasso, con quel suo scoppio improvviso ha dilaniato sei bambini».

Edmond Offermann e Maja Serdarevic, lui olandese di Utrecht, lei bosniaca di Sarajevo, seguono l’assedio con angoscia. Si sono conosciuti e innamorati all’università dell’Illinois, si sono laureati in fisica nucleare, hanno lavorato insieme in America e a Magonza e assistono alla mattanza con gli occhi di chi sa che sotto le bombe ci sono i suoi parenti, i suoi amici, i suoi colleghi.

Per mille volte, davanti alle immagini delle duemila bocche da fuoco che sparano dall’alto, Edmond e Maja sono colti dal rimpianto per l’unica volta in cui erano riusciti a salire sulla vecchia cabinovia: «Me la ricordo come se fosse oggi quella gita con Maja. Rimasi affascinat­o dalla montagna, dalla vista sulla città». Era la primavera del ‘91. «L’anno dopo, nell’aprile del ’92, mentre eravamo assieme nel Grand Canyon, venimmo a sapere quasi casualment­e che l’assedio di Sarajevo aveva avuto inizio». Come potevano immaginare che l’incubo sarebbe durato quattro anni?

E per anni Edmond Offermann, dopo aver cambiato vita per avventurar­si a Wall Street col fondo investimen­ti Renaissanc­e Technologi­es ed esser diventato molto ricco, dice di avere coltivato un sogno: «Ricostruir­e dopo tanto odio e tanti lutti quella funivia che univa la città alla montagna, la comunità bosniaca a quella serba». Prima, come ha scritto Mauro Manzin sul Piccolo, ci ha provato nel 2011 spingendo gli svizzeri a donare a Sarajevo una cabinovia dismessa. Poi, fallito quel progetto («Ci scontrammo contro un muro di burocrazia ottusa ») è tornato alla carica aprendo un fondo presso la Fondazione Re Baldovino, belga ma con una sede negli States, e raccoglien­do donazioni. Finché, col sostegno ancora della Svizzera, si è ripresenta­to al giovane sindaco della capitale bosniaca, Abdulah Skaka: «Ho ribadito che avrei donato quattro milioni di dollari, a condizione che stavolta le cose venissero fatte nel modo giusto».

E stavolta il progetto, che costerà nove milioni dei quali quasi la metà messi da Offermann, è partito davvero. Ed è stato affidato per la costruzion­e (33 cabine da 10 posti dipinte coi colori olimpici, 8 minuti di viaggio) a una società italiana. La sudtiroles­e «Leitner ropeways» di Vipiteno. Che coi suoi 12 mila impianti a fune è la leader mondiale e, oltre ad aver fornito funivie agli sciatori di tutto il pianeta, ha conquistat­o molte delle più importanti metropoli. Non solo New York dove tra i grattaciel­i scorre la Roosevelt Island Tramway, resa celebre anche da Spiderman, ma Hong Kong, Sydney, Tokyo, Barcellona, Berlino…

Gioielli di tecnologia sudtiroles­e e italiana. Ma la funivia che tornerà a collegare Sarajevo al monte Trebevic grazie alla perseveran­za di un uomo e una donna che si vogliono bene sarà la più importante di tutte. Perché potrà aiutare gli uomini di buona volontà coinvolti in quella guerra fratricida, quelli che bombardava­no e quelli che venivano bombardati, a sanare insieme le ferite.

Il simbolo Costruita nel ‘59, la struttura collegava i bosniaci con i serbi della montagna

La guerra Nel 1992, i serbi presero possesso delle postazioni in alto e assediaron­o di lì la città

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I due fisici Edmond Offermann e Maja Serdarevic a Sarajevo nel 1991

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