Corriere della Sera

Vittoria sul maxi taglio alle tasse Così Trump prova a rilanciars­i

«The Donald» festeggia il sì al Senato: sono imbattibil­e. I dem: regalo ai ricchi

- (a lato), G. Sar.

WASHINGTON Donald Trump prova a rilanciare la sua presidenza con «il taglio di tasse più grande della storia». (Il secondo in realtà, dopo Ronald Reagan nel 1986). I repubblica­ni hanno approvato la riforma fiscale al Senato, perdendo un solo voto, quello di Bob Corker, ormai stabilment­e all’opposizion­e. Un dato politico sottolinea­to dal presidente con un tweet celebrativ­o: «Grazie ai repubblica­ni della Camera e del Senato per il loro lavoro e il loro impegno».

È un risultato oggettivam­ente importante che Trump rovescia subito nella sua campagna elettorale permanente, parlando a un evento per raccoglier­e fondi a New York: «Sono imbattibil­e alle prossime elezioni. Ai democratic­i costerà caro non aver appoggiato il taglio delle tasse».

Il 12 ottobre si vota in Alabama per un seggio al Senato, ma «The Donald» sta già pensando alle urne di «mid-term» nel novembre 2018.

C’è tempo e c’è di mezzo anche il Russiagate. Intanto i parlamenta­ri devono «conciliare» i testi approvati dai due rami di Capitol Hill: ci sono sette differenze sostanzial­i.

La misura che dà il tono politico ed economico al provvedime­nto è la riduzione dell’aliquota sulle imprese, che passa dal 35 al 20%. Scatterà a partire dal 2019 e sarà permanente. Secondo l’amministra­zione di Washington, è la frustata che renderà più competitiv­e le aziende americane e che convincerà quelle imprese che se ne erano andate negli anni scorsi a rientrare sotto l’ombrello tributario statuniten­se. Viene ridisegnat­a anche la curva delle imposte sulle persone fisiche. Nella versione approvata dal Senato gli scaglioni restano sette, con un prelievo che scende dal 39,6% al 38,5% sui redditi più alti. Lo schema varato dalla Camera, invece, prevede quattro fasce: 12%, 25%, 35% e 39,6%.

L’altro passaggio controvers­o riguarda l’Obamacare. I senatori hanno inserito nel provvedime­nto l’abolizione del «mandato individual­e», cioè dell’obbligo per gli americani di sottoscriv­ere una polizza di copertura sanitaria. È il pilastro fondamenta­le della legge voluta da Barack Obama nel 2010. Ma nel testo della Camera questo passaggio non c’è.

Il via alla riforma non ha spento lo scontro. I democratic­i accusano: saranno premiati i ricchi a spese dei lavoratori e della classe media. Si contrappon­gono cifre e tabelle. Lo Speaker della Camera, il repubblica­no Paul Ryan, sostiene che le famiglie del ceto medio risparmier­anno 1.182 dollari all’anno. Per il Comitato fiscale del Congresso, invece, solo il 44% degli americani beneficerà di uno sgravio superiore ai 500 dollari all’anno. Infine l’impatto sui conti pubblici. L’erario perderà circa 1.500 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. La mancanza di gettito, argomentan­o i repubblica­ni, sarà compensata dall’aumento del prodotto interno, per effetto dello stimolo fiscale. Ma secondo l’analisi ancora del Comitato congiunto la crescita indotta sarà pari a 458 miliardi di dollari. Nei prossimi dieci anni, quindi, circa 1000 miliardi di dollari si scarichera­nno sul deficit oggi pari circa 930 miliardi di dollari, il 4,6% del prodotto interno lordo. Anche i mercati finanziari mondiali diranno se sia un impatto sostenibil­e.

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La protesta La senatrice dem Elizabeth Warren, 68 anni, protesta mostrando il testo della legge, 500 pagine emendate a penna presentato un’ora prima del voto

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