«Usa, demone atomico»: dopo i missili, gli insulti
«Un demone nucleare», «un distruttore della pace globale che sta implorando un conflitto atomico». Sono le parole ad effetto usate dal ministero degli Esteri nordcoreano per descrivere Donald Trump. Gli insulti sono parte della coreografia della crisi. E da tempo. Qualche ora prima il presidente Usa aveva definito Kim Jong-un «un cagnolino». Epiteti che accompagnano ogni picco di tensione nel contrasto. Il lancio del nuovo missile Hwasong 15, dopo la lunga pausa, ha rimesso in movimento il fronte. Con effetti pratici e psicologici. Gli attacchi verbali sono legati alle manovre Vigilant Ace nella Corea del Sud. Stati Uniti e l’alleato dispiegheranno 12 mila soldati e oltre 230 aerei. Il Pentagono ha schierato anche caccia sofisticati come l’F 22 Raptor — per la prima volta — e gli F 35, quindi bombardieri B1 B ed elicotteri. Le esercitazioni servono a provare i meccanismi di reazione, a simulare incursioni e a ribadire la determinazione nel rispondere ad ogni provocazione. Venerdì alle Hawaii hanno testato le sirene per l’allarme nucleare, l’arcipelago si considera a rischio visto che più volte i nordcoreani lo hanno indicato come un bersaglio. Le manovre non sono certo le prime, però agli occhi di Pyongyang sono percepite come una diretta minaccia alla propria sicurezza. Più volte il regime ha chiesto agli Stati Uniti di mettere fine a questo tipo di azioni. Un messaggio rilanciato da Russia e Cina, convinte che il mostrare i muscoli sia controproducente. Solo che Kim ci mette del suo. Il test del vettore in grado di raggiungere il territorio Usa non ha varcato alcuna linea rossa, però ha smentito i diplomatici che speravano in un periodo di quiete, utile per esplorare vie negoziali. Ed è ripreso il ciclo degli insulti. Personalizzazione che tocca più i nordcoreani degli americani: per i sudditi il maresciallo Kim Jong-un non è soltanto la guida suprema ma una sorta di semidio, guai ad offenderlo.