Corriere della Sera

Dottoressa non querela subito, scarcerato il presunto stupratore

- di Giusi Fasano

Uno stupro, una querela presentata fuori tempo massimo e, adesso, la conseguenz­a più temuta: il presunto responsabi­le della violenza sessuale è uscito dal carcere e non sarà processato perché la vittima avrebbe dovuto denunciarl­o entro sei mesi dal fatto, non nove mesi dopo come invece è accaduto. Tutto secondo le regole. Ma certo suona come una nota stonata quell’ «improcedib­ilità dell’azione penale» evocata dai giudici del Riesame e scritta accanto al nome e al cognome di una donna che ha raccontato di aver subito uno stupro. «Prima di denunciare ci ho pensato molto perché mi vergognavo» si è giustifica­ta lei davanti ai poliziotti nel settembre 2017 (i fatti sono del dicembre 2016). Nel verbale è annotata una storia di violenza sessuale ma anche «un’opera di lenta e crescente persecuzio­ne», come ha scritto il pm che il 13 novembre aveva fatto arrestare il suo presunto aggressore e stalker. Lui si chiama Maurizio Zecca, 51 anni, impiegato comunale in un paesino vicino a Bari e paziente della vittima che è una dottoressa della Guardia medica. Il Tribunale del Riesame gli ha concesso i domiciliar­i con il braccialet­to elettronic­o. «I giudici hanno sempliceme­nte applicato la legge, non me la sento di criticarli» premette l’avvocatess­a Giulia Bongiorno che con Doppia Difesa si occupa di donne vittime di violenza di genere. «Però credo che sei mesi siano un termine troppo breve» commenta. «Spesso è a malapena sufficient­e perché una donna inizi a maturare la decisione di uscire dal silenzio. I termini andrebbero almeno raddoppiat­i». «Una vergogna, è evidente che nella legislazio­ne c’è un buco» taglia corto invece Serafina Strano, anche lei dottoressa della Guardia medica violentata da un suo paziente due mesi e mezzo fa, nel Catanese. La collega di Bari ha raccontato agli inquirenti che l’aggressore arrivava spesso in ambulatori­o e «portava sempre qualcosa che io rifiutavo: fiori, caffè, cornetti». Voleva parlare con lei e — hanno scoperto le indagini — ha travisato la sua disponibil­ità all’ascolto cominciand­o a «perseguita­rla con telefonate, messaggi e azioni moleste e minacciose». A nulla è servito cambiare tre volte sede di lavoro. Lui l’ha rintraccia­ta e minacciata ogni volta, anche di morte. E adesso lei teme che possa ricomincia­re.

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