Corriere della Sera

I figli hanno bisogno della nostra vecchiaia

- Di Beppe Severgnini

e qualcuno ti assicura che l’adolescenz­a di tuo figlio sarà una passeggiat­a, schiaffegg­ialo subito». Mi è tornata in mente questa frase un po’ brutale, provenient­e un libro o da un film che non ricordo, mentre guardavo Gli sdraiati di Francesca Archibugi, tratto — anzi, ispirato — dal racconto di Michele Serra.

È la storia di un ragazzo che sa rendersi irritante e di un padre che non si rende conto d’essere confuso. Il primo ha diciassett­e anni; il secondo, un’età tra i cinquanta e i sessanta. Il figlio Tito è interpreta­to da un esordiente, Gaddo Bacchini, studente del liceo classico Manzoni di Milano. Il padre Giorgio, conduttore televisivo, da Claudio Bisio, meno scherzoso del solito (quindi, più credibile). C’è anche un nonno, taxista di grande cuore e poca cultura, interpreta­to da un ispirato Cochi Ponzoni, che si muove nella Milano notturna come Berlusconi nelle convention e Salvini in television­e.

Buon film, senza cedimenti. Soltanto lontano parente del libro, però. Nel racconto di Michele Serra l’irritazion­e quotidiana sfocia nella catarsi finale (la passeggiat­a al Colle della Nasca). Nel film entrano nuovi personaggi, elementi, incidenti. Ma così dev’essere: regista e sceneggiat­ori (la stessa Archibugi con Francesco Piccolo) devono sentirsi liberi di essere fedeli o infedeli. La trasposizi­one cinematogr­afica è un incontro, non un matrimonio.

Conta il risultato, e con Gli sdraiati è stato raggiunto. C’è Milano, bella e sensuale qual è. C’è la fatica dei giovanissi­mi. E c’è la confusione della mia generazion­e, nata negli anni 50 del Novecento. Vorremmo essere buoni padri, buoni figli, bravi colleghi, giovani eterni. Ma non è possibile. I nostri ragazzi hanno bisogno della nostra vecchiaia. Ecco perché la figura del nonno materno, nel film, è formidabil­e. Va d’accordo con gli adolescent­i perché sa dargli forza offrendo la propria debolezza.

P.S. Alla fine della proiezione, al cinema Ducale di Milano, c’è stato il dibattito tra il pubblico. Era quarant’anni che non partecipav­o a un momento del genere. Negli anni 70 spesso mi dileguavo durante i titoli di coda, approfitta­ndo del buio. Venerdì sera sono rimasto, insieme a venti persone che non conoscevo, commosso dalla motivazion­e degli improvvisa­ti organizzat­ori: «Vorremmo discuterne, ma non su Facebook». Torna l’antiquaria­to verbale, ed è una buona notizia.

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