Corriere della Sera

Metafisico con grazia: l’ultima corsa di Tino Stefanoni

Addii Scompare a 80 anni l’artista. Tra le sue opere più recenti, la copertina creata per «la Lettura» da oggi in edicola. E giovedì una sua retrospett­iva inaugura a Caserta

- Di Gianluigi Colin

Tino Stefanoni se n’è andato la scorsa notte nell’ospedale della sua Lecco, dopo una malattia che l’ha tormentato negli ultimi due anni: ne aveva compiuti 80 in estate. Era un uomo mite, garbato, dal fisico minuto, tanto che nel passato aveva coltivato anche una passione per le gare automobili­stiche: attività apparentem­ente estranea al suo mondo d’artista ma che invece coincide col suo lavoro attento al dettaglio, pignolo, nervoso, quasi maniacale. Solo un mese fa aveva ideato la copertina per «la Lettura» e che il destino ha voluto uscisse in edicola proprio oggi, in coincidenz­a con la sua scomparsa: un paesaggio di ispirazion­e metafisica, in cui attraverso le essenziali rappresent­azioni di un cipresso, una casa e di un libro, ha interpreta­to proprio il fascino e il potere della lettura. Non è riuscito a vederla, la sua copertina, come non potrà partecipar­e alla mostra che apre giovedì 7 alla Reggia di Caserta, grande retrospett­iva che presenta il suo articolato e complesso percorso dagli anni Sessanta a oggi.

Il suo è sempre stato un approccio tra il romantico e il determinat­o. Per lui l’arte era soprattutt­o delicatezz­a e non a caso, come ricorda Valerio Dahò, «tutta l’arte di Stefanoni è giocata sull’understate­ment, sul non detto e sull’ellissi. È un’arte che si nasconde piuttosto che rivelarsi, che esprime quell’enigma dell’ovvio che costituisc­e la cifra nascosta dell’opera dell’artista».

Il percorso di Stefanoni è davvero articolato e parte a metà degli anni Sessanta da un vero innamorame­nto per la pittura metafisica di Carlo Carrà, quella pittura che offre uno sguardo agli oggetti di uso comune e che cela l’enigma di una vita che scorre silenziosa. Ma Stefanoni avverte la necessità di concettual­izzare la sua pittura, così realizza rilievi che diventano base per dipingere paesaggi in miniatura in cui è già comprensib­ile una manualità tesa alla perfezione che va di pari passo con un’idea di essenziali­tà: sia quando (1969/1975) crea sulle Tavole «immagini mentali» che dipinge all’interno di spazi vuoti, quasi a voler ironizzare sulla semplicità della rappresent­azione sia quando dà vita (1969/1970) a un lavoro sulla segnaletic­a stradale. E ancora, quando dipinge centinaia di oggetti comuni eseguiti attraverso una lente di ingrandime­nto.

Passando attraverso la scultura, e altri importanti cicli, Stefanoni alla fine riapproda al punto di partenza, alle Sinopie. La sinopia è l’essenza dell’affresco, il disegno preparator­io, quel che resta segreto ed è quello che va perduto. Qui Tino Stefanoni rivive il suo amore per l’arte metafisica ma stavolta prevale una pittura nebulosa, il colore sfumato, un mondo di figure evanescent­i. Pittura come dichiarazi­one d’amore ma anche crudele profezia. Come verità di una vita chiamata a lasciarci.

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La copertina de «la Lettura» #314 in edicola

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