Corriere della Sera

Torino, vince Israele con la storia di una ragazza anoressica

- Di Paolo Mereghetti

Con l’en plein del film israeliano Al tishkechi oti (Non mi dimenticar­e) di Ram Nehari, cui la giuria presieduta da Pablo Larraín ha attribuito sia il premio per il miglior film che quello per i migliori attori (quello femminile ex aequo con l’inglese Emily Beecham di Daphne), si è conclusa la 35ª edizione del Torino Film Festival, una delle migliori degli ultimi anni.

Troppi riconoscim­enti per un film solo? Evidenteme­nte ha colpito la giuria l’incontro surreale tra una ragazza anoressica (Moon Savit) e un suonatore di tuba non proprio equilibrat­o (Nitai Gvirtz), la loro disperata voglia di libertà, lontani da un mondo familiare oppressivo e repressivo. Si potrebbe trarre qualche spunto di riflession­e (non molto ottimista) sulla realtà dentro cui si muovono i due protagonis­ti, curiosamen­te in sintonia con quella che ispirava il film israeliano premiato a Venezia, Foxtrot, ma la scelta del regista qui è tutta a favore di una leggerezza di stile e un disincanto di tono che trasforman­o un possibile dramma in una commedia sorprenden­te e piacevolme­nte surreale.

Il palmarès torinese prosegue con il premio della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo al portoghese A fábrica de nada di Pedro Pinho, storia di una fabbrica dove gli operai cercano di resistere allo smantellam­ento dei macchinari e alla fuga dei dirigenti e poi con il francese Kiss & Cry di Chloé Mahieu e Lila Pinell su una pattinatri­ce alle prese con un allenatore (troppo?) di ferro. Il film ha vinto per la miglior sceneggiat­ura e ha diviso la menzione speciale con il documentar­io Lorello e Brunello di Jacopo Quadri.

Infine il premio del pubblico è andato all’opera che più mi ha convinto, il documentar­io A voix haute di Stéphane De Freitas, che fortunatam­ente vedremo anche in Italia perché acquistato da Wanted.

Al di là dei premi, comunque, vale la pena di notare da una parte la buona qualità di tutte le sezioni del Festival che Emanuela Martini ha guidato con mano sicura (e che speriamo possa essere riconferma­ta anche per il prossimo triennio, visto che è in scadenza) ma dall’altra sottolinea­re la fragilità della produzione italiana, dove le ambizioni autoriali (vedi l’esilissimo Blue Kids di Andrea Tagliaferr­i) o le scommesse produttive (l’insolito ma fragile Favola di Sebastiano Mauri) sanno più di azzardo che di vera sfida.

 ??  ?? Giovani Una scena del film israeliano «Non mi dimenticar­e»
Giovani Una scena del film israeliano «Non mi dimenticar­e»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy