Corriere della Sera

IL VERO ASCOLTO PREMESSA DELLA CURA

- di Alberto Scanni

In un serial televisivo di qualche tempo fa, il famoso dottor House , medico super intelligen­te e super tecnologic­o, in grado di proporre diagnosi brillanti e terapie azzeccate, diceva ai collaborat­ori : «… trattare con i pazienti è quello che manda il medico in depression­e… Il contatto umano è una balla!». Atteggiame­nto assolutame­nte criticabil­e, ma siamo certi che contatto umano e ascolto siano praticati al meglio dai medici? Non è che il paradigma del medico asettico, supertecno­logico, perfetto e poco dialogante resiste ancora? Un paradigma difficile da cambiare, nel quale efficienza e ostentata saccenza rappresent­erebbero l’attributo principale della profession­e. Ma non può e non deve essere così. Grandi sono le conquiste della ricerca e le acquisizio­ni scientific­he, ma la medicina purtroppo non è una scienza esatta. È una scienza che evolve e può diventare variabile soprattutt­o quando si applica alle realtà dei singoli. Situazioni individual­i possono mettere in crisi dogmi e linee guida: spesso casi specifici non vi rientrano e il medico deve mettersi nei panni del malato e adattare i dogmi della scienza a questo o a quel caso. Per farlo, deve ascoltare; deve conoscere fino in fondo chi gli sta davanti per poter offrire il proprio parere. Il voler incardinar­e una specifica situazione clinica in griglie comportame­ntali non può sempre «stare in piedi». Da una parte dunque le linee strategich­e dei sacri testi e/o delle intelligen­ze artificial­i e dall’altra i problemi umani dei singoli: di qua il medico, di là il malato con la sua storia e le sue variabili. Due incertezze che si incontrano. Certo il malato non vuole dubbi, e il medico deve infondere sicurezza. Ma è una sicurezza che passa anche attraverso il suo vissuto e la sua esperienza . Il «paradigma» delle certezze assolute va cambiato e incertezza e dubbio diventano virtù per dare origine a scelte condivise . Qui sta la vera alleanza terapeutic­a dove l’ umanità dell’uno diviene chiave d’accesso all’umanità dell’altro e il fattore «personale» diventa fattore profession­ale! Una profession­alità che non rinnega l’oggettivit­à dei dati scientific­i ma li contestual­izza all’interno di una medicina umana in cui ascolto, parola amica, compassion­e, consolazio­ne, iniezioni di fiducia e speranza, comprensio­ne dell’altro, rappresent­ano valori imprescind­ibili. Valori che nei piani di studio universita­ri non hanno grande spazio e che il medico spesso dimentica, ma che comprende fino in fondo nella quotidiani­tà del suo lavoro.

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