IL VERO ASCOLTO PREMESSA DELLA CURA
In un serial televisivo di qualche tempo fa, il famoso dottor House , medico super intelligente e super tecnologico, in grado di proporre diagnosi brillanti e terapie azzeccate, diceva ai collaboratori : «… trattare con i pazienti è quello che manda il medico in depressione… Il contatto umano è una balla!». Atteggiamento assolutamente criticabile, ma siamo certi che contatto umano e ascolto siano praticati al meglio dai medici? Non è che il paradigma del medico asettico, supertecnologico, perfetto e poco dialogante resiste ancora? Un paradigma difficile da cambiare, nel quale efficienza e ostentata saccenza rappresenterebbero l’attributo principale della professione. Ma non può e non deve essere così. Grandi sono le conquiste della ricerca e le acquisizioni scientifiche, ma la medicina purtroppo non è una scienza esatta. È una scienza che evolve e può diventare variabile soprattutto quando si applica alle realtà dei singoli. Situazioni individuali possono mettere in crisi dogmi e linee guida: spesso casi specifici non vi rientrano e il medico deve mettersi nei panni del malato e adattare i dogmi della scienza a questo o a quel caso. Per farlo, deve ascoltare; deve conoscere fino in fondo chi gli sta davanti per poter offrire il proprio parere. Il voler incardinare una specifica situazione clinica in griglie comportamentali non può sempre «stare in piedi». Da una parte dunque le linee strategiche dei sacri testi e/o delle intelligenze artificiali e dall’altra i problemi umani dei singoli: di qua il medico, di là il malato con la sua storia e le sue variabili. Due incertezze che si incontrano. Certo il malato non vuole dubbi, e il medico deve infondere sicurezza. Ma è una sicurezza che passa anche attraverso il suo vissuto e la sua esperienza . Il «paradigma» delle certezze assolute va cambiato e incertezza e dubbio diventano virtù per dare origine a scelte condivise . Qui sta la vera alleanza terapeutica dove l’ umanità dell’uno diviene chiave d’accesso all’umanità dell’altro e il fattore «personale» diventa fattore professionale! Una professionalità che non rinnega l’oggettività dei dati scientifici ma li contestualizza all’interno di una medicina umana in cui ascolto, parola amica, compassione, consolazione, iniezioni di fiducia e speranza, comprensione dell’altro, rappresentano valori imprescindibili. Valori che nei piani di studio universitari non hanno grande spazio e che il medico spesso dimentica, ma che comprende fino in fondo nella quotidianità del suo lavoro.