Il medico e il malato di fronte all’incertezza
I pazienti oggi sono chiamati a partecipare alle decisioni sulla cura. Ma spesso questa opportunità è vissuta come un peso e si preferirebbe che il professionista si assumesse l’onere della decisione per intero. Nella medicina però, ora più che mai, quest
Diagnosi di carcinoma spinocellulare alla lingua, paziente di 76 anni, donna. «Signora ci sono due opzioni: la chirurgia o la brachiterapia. Nel primo caso porteremo via un pezzo di lingua e lei avrà difficoltà a mangiare e a parlare. Nel secondo le infileremo nella lingua due aghi radioattivi che dovrà tenere una settimana, durante la quale resterà chiusa in una stanza e non potrà ricevere visite. Sarà doloroso ma se il trattamento riuscirà potrà conservare la lingua».
Il caso è reale e paradigmatico. A dispetto di quello si potrebbe pensare, i medici sono stati empatici e professionali nel porre la questione. Ma la malata ha risposto: «Per favore ditemi voi che cosa devo fare, io non so che cosa sia meglio». Chiedeva certezze, ma non ce n’erano.
La medicina è passata da una versione «paternalistica» a una «condivisa» in cui il malato ha il diritto di partecipare alla scelta della cura. Ma questo diritto talora è vissuto come un peso, di cui si farebbe volentieri a meno.
Del resto William Osler, considerato il padre della medicina moderna, diceva che «La medicina è la scienza dell’incertezza e l’arte della probabilità». E allora come uscirne? Per esempio dando percentuali precise di successo che si possono attribuire alle diverse alternative?
«Potrebbe essere utile, ma un recente articolo del New England Journal of Medicine, la più prestigiosa rivista medica del mondo, sottolineava come ciò non aiuti il paziente a gestire la componente emotiva legata alla malattia. Serve invece comprendere le priorità personali del paziente, le sue convinzioni e i suoi valori per aiutarlo a decidere» ha sottolineato Alan Pampallona,della Fondazione Giancarlo Quarta durante un convegno recentemente organizzato a Milano dalla stessa Fondazione su «Relazione di cura e gestione dell’incertezza in medicina».
Ma come può il medico trovare un equilibrio fra un’onesta informazione, che deve comunicare l’incertezza, e infondere allo stesso tempo la dose di fiducia necessaria nella terapia?
«È molto più difficile che in passato» ha spiegato nella stessa occasione Alberto Giannini, responsabile della Terapia Intensiva Pediatrica della Clinica De Marchi di Milano. «Non solo perché è cambiata la posizione del paziente, ma anche perché la medicina si è trasformata, e al concetto d’incertezza va aggiunto quello di limite: anche oggi non siamo sempre in grado di dare una risposta a qualsiasi bisogno, nonostante i media spesso spaccino una medicina onnipotente, con le patologie sconfitte e la morte saldamente imbrigliata». «Se dimentichiamo questa realtà entriamo a vele spiegate nel delirio di onnipotenza — rinforza Giannini. — Cito anch’io una pubblicazione del 2016 del New England Journal of Medicine, nel quale gli autori dicevano che dobbiamo confrontarci con la dimensione dell’incertezza, anche se i pazienti vogliono da noi certezze granitiche. È rischioso che i medici siano solo “guerrieri” perché devono essere capaci anche di affrontare e gestire i limiti della professione».
«Per poter uscire dall’empasse si dovrebbe forse ricorrere di più al colloquio con il paziente, che è differente dalle domande che gli si pongono durante l’anamnesi, e che può aprire un circuito di comunicazione differente» propone Michele Oldani, sociologo, psicanalista, e membro del comitato scientifico della Fondazione Quarta. «Se si domanda al malato a che squadra tiene e gli si dice anche a che squadra teniamo noi, attraverso quell’informazione produciamo nel curato la certezza che la sua vita ha ancora un valore, che invece sembra scomparire dopo la diagnosi di una malattia grave e dal momento in cui lui è diventato solo oggetto di anamnesi. L’arte della cura è tale quando trova un percorso assolutamente soggettivo di relazione e comunicazione».
«L’unica certezza che si può dare è la presenza umana: nessuno chiede al medico di guardare nella sfera di cristallo e predire il futuro, però il medico può assicurare la sua presenza lungo tutto il percorso di cura, comunque vada» rinforza Pampallona. «Molti dei pazienti che abbiamo incontrato ci hanno detto che la malattia era stata per loro un’opportunità per riscoprire
Relazione Il dottore non può guardare nella sfera di cristallo, è tuttavia importante che assicuri la sua presenza per l’intero percorso di cura La ricerca La capacità di cogliere anche le opportunità che può dare la malattia dipendono molto dalla relazione con il curante
valori importanti e vivere più pienamente l’esistenza. Conducendo una ricerca sul tema abbiamo riscontrato che questa capacità dipendeva da molti fattori ma uno dei più rilevanti era la qualità della relazione con i medici. Siamo in una fase nuova delle medicina, ipertecnologica, molto protocollare, con moltissime linee guida. La ricerca del senso della cura non riguarda solo il paziente, ma anche il medico».
In un mondo che si sta tramutando sempre più nella propria rappresentazione, fatta di immagini, dati, comunicazioni virtuali, avremo bisogno di medici tecnologicamente evoluti, ma anche capaci di ricordare che quando si ha bisogno di loro non si desidera trovarsi davanti solo una figura tecnica ma anche un uomo capace di conoscere, comprendere e condividere.