Corriere della Sera

Valutazion­e attenta

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Negli altri casi bisogna soppesare con molta attenzione pro e contro per il paziente

na delle occasioni in cui l’incertezza è parte inscindibi­le, costitutiv­a del processo di cura, è la sperimenta­zione di un farmaco. In questo caso a un malato si prospetta l’occasione di giovarsi di una nuova opportunit­à terapeutic­a, di cui però almeno l’efficacia è, appunto, da provare e proprio sulla sua pelle.

«Efficacia è la parola giusta se si parla della cosiddetta fase III di una sperimenta­zione — precisa Filippo de Braud, direttore dell’oncologia medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano — perché nelle due fasi che la precedono a essere testate sono più l’attività e la sicurezza che non l’efficacia della nuova molecola».

Che differenza c’è fra attività ed efficacia?

«Un farmaco può essere attivo, cioè agire, per esempio, su un tumore riducendon­e le dimensioni, ma non essere efficace perché non in grado di guarire davvero o allungare la vita del malato in modo significat­ivo. E questa proprietà la si verifica nella fase III, quando si confronta il farmaco sperimenta­le con il golden standard, cioè con la migliore terapia disponibil­e in quel momento».

Quindi la maggior incertezza si dovrebbe provare quando si riceve la proposta di partecipar­e a una delle prime due fasi della sperimenta­zione clinica?

«In effetti è sempre stato così fino a pochi anni fa. Oggi, quasi paradossal­mente, per un medico e per un malato ci può essere una percezione di minore incertezza in uno studio di fase I o II dove, almeno, c’è la sicurezza che il farmaco che verrà somministr­ato sarà quello sperimenta­le, mentre nella fase III il protocollo esige che né il malato né il medico sappiano a chi verrà dato il nuovo medicinale e a chi quello che servirà come termine di paragone, cioè il golden standard cui si è accennato».

Ma se nelle prime due fasi non si sa se il farmaco nuovo è attivo e nemmeno se è sicuro, come si può essere meno incerti?

«Il motivo è che oggi, almeno in oncologia, le nuove mosettiman­a. non basta nemmeno questo. È necessario che la scelta sia davvero condivisa con il malato e questo lo si può ottenere soltanto con una buona comunicazi­one. Quando parliamo con un paziente per discutere se farlo entrare o meno in uno studio sperimenta­le dobbiamo capire non solo quale può essere il suo reale vantaggio in termini clinici, ma anche come ciò può impattare sulla sua vita in termini progettual­i».

Che cosa intende per impatto della sperimenta­zione sul progetto di vita di un candidato?

«La malattia in qualche caso abbatte, fa perdere ogni interesse per le proprie attività e porta a pensare solo alla cura. In altri casi, al contrario stimola reazioni di sfida, che non investono solo la patologia in sé, ma l’intera esistenza e induce a fare cose che prima non si erano mai tentate, per esempio una maratona se prima ci si limitava a una corsetta alla

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