Mancano gli aiuti per chi assiste i familiari malati di Parkinson
Un’indagine del Censis fotografa la difficile condizione di questi caregiver
alle domande dei lettori sul morbo di Parkinson all’indirizzo
http://forum. corriere.it/ parkinson
www.censis.it i prendono cura assiduamente di familiari malati di Parkinson, in media per dieci ore al giorno, in un caso su tre senza ricevere nessun aiuto.
Pur svolgendo quest’impegno con dedizione e amore, i caregiver — prevalentemente donne, con un’età media di 59 anni — ne pagano le conseguenze: si ammalano più spesso, hanno difficoltà psicologiche a convivere con la malattia dei propri cari, il più delle volte sacrificano il lavoro, il tempo libero, le amicizie (si veda articolo sotto). A fotografare il carico assistenziale dei familiari e le ricadute pratiche sulla loro vita è una recente ricerca realizzata dal Censis, su un campione di 203 caregiver di pazienti in uno stadio avanzato della malattia neurologica.
Otto su dieci di loro riferiscono che i propri congiunti hanno bisogno di aiuto per ricordarsi di prendere i farmaci negli orari giusti. Più del 40% dei pazienti , inoltre, non è autosufficiente nel farsi la doccia o il bagno, il 38% ha difficoltà a vestirsi, il 35% ha problemi di continenza, e oltre il 30% ha difficoltà a muoversi.
Ma, a fronte di queste criticità quotidiane, i caregiver ricevono qualche forma di supporto? Secondo l’indagine, il ruolo dei servizi socio-sanitari e assistenziali sul territorio è marginale: appena il 2,5% del campione interpellato riceve aiuto da personale pubblico.
Quando il sostegno c’è, arriva da altri familiari o da personale pagato (badanti).
«Di fatto la famiglia viene lasciata sola a gestire i compiti assistenziali, come del resto era già emerso in precedenti ricerche, per esempio, su chi che si prende cura dei familiari colpiti da ictus oppure di malati di Alzheimer — osserva Ketty Vaccaro, responsabile dell’area “Welfare e salute” del Censis — . Laddove ci sono situazioni di non autosufficienza e disabilità in cui è fondamentale la componente assistenziale, manca una risposta di sistema e le famiglie sono costrette a organizzarsi “dal basso” svolgendo una funzione di supplenza in assenza, o Dalla stanchezza fisica ai problemi di insonnia fino alla depressione. Secondo la ricerca del Censis, otto caregiver su dieci, che assistono familiari malati di Parkinson, hanno avuto almeno un effetto sulla propria salute. C’è, poi, chi si ammala più spesso, chi ha dovuto far ricorso al supporto psicologico. In generale, chi assiste i propri cari segnala una significativa riduzione della sua qualità di vita. Il 56% ha dovuto interrompere per mancanza di tempo tutte le attività extra lavorative, come hobby, attività sportive, viaggi, volontariato. E, rileva il Censis, forse più doloroso per loro da un punto di vista psicologico è il diradarsi quasi, di servizi pubblici».
È il modello italiano del faida-te che, però, inizia a scricchiolare anche per il progressivo invecchiamento della popolazione (e dei caregiver) e il relativo aumento delle malattie croniche. delle amicizie, a causa dell’inevitabile riduzione delle occasioni di incontro, segnalato dal 31% del campione. Inoltre, più di un caregiver su quattro, soprattutto donne, riferisce un impatto negativo su tutti i componenti del nucleo familiare, costretti a fare i conti con la presenza di un paziente con gravi problemi di salute e necessità assistenziali. Lo conferma anche una ricerca di Elizabeth Blackburn, premio Nobel per la Medicina nel 2009: i caregiver sono la categoria in assoluto più sottoposta a stress sia fisici che emotivi e hanno un’aspettativa di vita ridotta dai 9 ai 17 anni.
«Un quarto del campione afferma che non ce la fa più e i dati sono in linea con quelli riscontrati in altre ricerche — avverte l’esperta del Censis — . L’impatto del carico assistenziale è devastante in termini di salute, riduzione o abbandono dell’attività lavorativa, isolamento sociale».
Di cosa avrebbero bisogno i caregiver? Secondo l’indagine che ha coinvolto i familiari dei malati di Parkinson, due su tre vorrebbero sgravi fiscali e aiuti economici, a causa di difficoltà legate ai costi dell’assistenza e delle terapie ma anche a cambiamenti nel lavoro: c’è chi ha dovuto lasciarlo o chiedere il part time. Più di uno su tre vorrebbe usufruire, per esigenze di riposo, di ricoveri temporanei per il proprio congiunto. «Dallo studio emerge il bisogno di non essere lasciati soli — sottolinea Ketty Vaccaro — . Per esempio, i caregiver vorrebbero poter contare su un infermiere che va a domicilio in caso di necessità o avere un numero sempre disponibile dell’equipe medica per chiedere informazioni sulla terapia o in situazioni di emergenza.
«Insomma, si tratta di persone che desiderano continuare a occuparsi volontariamente dei loro familiari ma vorrebbero non dover pagare un prezzo così alto. In tutte le ricerche svolte in questi anni, infatti, i caregiver sottolineano la necessità di una rete di servizi che supporti la famiglia — riferisce ancora la ricercatrice —. Finora, però, non hanno ricevuto risposte soddisfacenti, anzi: da due indagini, ripetute a distanza di dieci anni, che hanno coinvolto i caregiver di malati di Alzheimer, risultano diminuiti nel tempo sia i centri diurni, sia i servizi di riabilitazione e l’assistenza domiciliare integrata».